Open science
Gli archivi del sapere in rete
di Marco Fabbrichesi
a.
Frontespizio del Sidereus Nuncius di Galilei, un esempio di comunicazione scientifica diretta. Fu il primo trattato scientifico basato su osservazioni astronomiche realizzate con un telescopio, uscito il 13 marzo 1610 e che subì la censura di alcune sue parti dalla Santa Sede.
Dapprima come minute delle società scientifiche, come Philosophical Transactions della Royal Society di Londra, dove il presidente stesso della società decideva se un articolo potesse essere presentato e quindi pubblicato. In seguito, con l’aumento del numero degli articoli inviati e del loro grado di specializzazione, la valutazione viene delegata anonimamente a uno o più membri della società stessa, i cosiddetti peer (che in inglese significa “collega” o “persona pari a”, ndr), incaricati tra gli esperti nello stesso campo dell’autore dell’articolo. Insomma, qualcuno doveva certificare la serietà e la rilevanza dell’articolo prima che fosse pubblicato, cioè fare da referee (“revisore”). Nel corso dei secoli le riviste scientifiche basate su questo processo di valutazione detto peer review (“revisione tra pari”, ndr), sono diventate una vera e propria istituzione: sono proliferate, si sono specializzate e hanno acquisito un ruolo determinante nella diffusione del sapere e nel riconoscimento della validità della produzione scientifica dei singoli ricercatori. Le cose cominciarono a cambiare verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso. In quel periodo, nella fisica delle particelle, si era stabilito un sistema di diffusione dei risultati della ricerca basato sui cosiddetti preprint, nei quali i nuovi risultati, nella forma di articoli scientifici, venivano stampati e distribuiti per posta ai vari centri di ricerca, università e biblioteche. Questa prassi, che si è diffusa fino a essere adottata negli anni ’70 quasi universalmente, era nata per supplire alla lentezza intrinseca del sistema delle riviste, che richiedeva tempi di vari mesi, se non anni, per la pubblicazione di un articolo. Alla fine, con la loro affermazione, i preprint avevano soppiantato completamente la lettura delle riviste, i cui articoli apparivano quando ormai erano già noti e spesso superati.
A partire dalla fine degli anni ’80 hanno iniziato a diffondersi i programmi di formattazione testuale e di elaborazione di disegni e immagini: questo ha permesso ai ricercatori di scrivere direttamente i propri lavori sui computer, che nello stesso periodo erano diventati personali, con risultati di alta qualità tipografica confrontabili con quella delle riviste scientifiche. Nell’agosto del 1991, il sistema dei preprint iniziò la sua migrazione dalla forma cartacea, con distribuzione via posta, a quella elettronica, con distribuzione via internet, prima sotto forma di richieste via email e poi con accesso diretto via web. Quando Paul Ginsparg del Los Alamos National Laboratory (Lanl) li ideò, gli archivi online di preprint erano limitati a pochi (circa 200) utenti che lavoravano in un campo specifico della teoria delle stringhe.
Paul Ginsparg che ideò l’archivio di preprint online nei laboratori di Los Alamos nel 1991, e poi nel 1999, a seguito del suo trasferimento nella stessa università, li fece spostare nella Cornell University.
Il sistema attuale consiste in un archivio di preprint di alta qualità tipografica distribuito gratuitamente sul web attraverso un sito centralizzato aperto a tutti, non solo agli scienziati dal nome di arXiv (che si pronuncia come la parola inglese archive, come se la “X” fosse la lettera greca “chi”). L’archivio Lanl cambiò nome e indirizzo in arXiv.org nel 1999 e fu trasferito nella Cornell University (nello stato di New York) con mirror (che in informatica ha il significato di copia esatta di un insieme di dati) in varie parti del mondo. Ad esso, ogni giorno, accedono i ricercatori di tutto il mondo per leggere i nuovi articoli sottomessi e per inviare i propri lavori in modo che vengano letti – il giorno successivo – dai colleghi.
L’intero sistema delle riviste scientifiche è rimasto, invece, sostanzialmente immutato, con l’unica differenza di essere migrato anch’esso sul web, dove gli articoli pubblicati vengono resi disponibili e il processo di valutazione è condotto per mezzo di email e interfaccia via web. La migrazione delle riviste scientifiche sul web viene iniziata anch’essa dalla comunità della fisica delle particelle con il Journal of High Energy Physics (Jhep), che costruisce alla fine degli anni ’90 il prototipo in cui tutte le interazioni tra editore, referee e autori vengono mediate da un software robot che agisce sul web, un modello poi imitato da tutte le altre riviste e rapidamente divenuto lo standard. Mentre questa migrazione ha certamente aumentato l’efficienza del processo, i costi sono rimasti invariati, così come invariato sembra essere rimasto il peso crescente degli abbonamenti a queste riviste sui bilanci delle biblioteche e dei fondi di ricerca.
In buona sostanza, grazie alla rete, il sistema della diffusione dei risultati della ricerca scientifica, almeno nella fisica delle particelle, sembra essere tornata alle sue origini quando un Galilei o un Newton potevano pubblicare i loro risultati e lasciare il giudizio al vaglio della comunità che a questi lavori aveva diretto accesso.
Biografia
Marco Fabbrichesi è ricercatore dell’Infn a Trieste. Ha studiato all’Università della Virginia e lavorato a Dubna (Russia), al Niels Bohr Institute (Copenhagen) e al Cern. Ha progettato il Journal of High Energy Physics (Jhep) e coordinato due progetti europei sull’uso della rete nella comunicazione scientifica.
Link
www.arxiv.org
www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/
www.biomedcentral.com/
jhep.sissa.it
prd.aps.org
http://thecostofknowledge.com
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