[as] intersezioni

Homo zappiens
di Pietro Greco - giornalista scientifico

 

a.
Un momento simbolico della “primavera araba” in piazza Tahrir, a Il Cairo, il 6 febbraio 2011: in arabo sul suolo è scritto “Noi siamo gli uomini di Facebook”.

 


Per chi avesse dubbi, basta che si affacci sull’altra parte del Mediterraneo. Dove le maglie dell’ordito costituito da telefoni cellulari connessi a internet attraverso vari nodi – da Youtube a Facebook – hanno consentito di mobilitare grandi masse, di abbattere vecchie tirannidi e di dar luogo a quel processo democratico, magari ancora fragile ma certo inedito, che va sotto il nome non usurpato di “primavera araba”. I più pigri possono affacciarsi nella stanza accanto, dove vivono i nostri figli: “nativi digitali”. Completamente immersi in un mondo tecnologico rapidamente evolutivo fatto di computer, internet, telefoni cellulari, video game, Wi-fi, iPod, iPad, tablet, social network, Facebook, Twitter, YouTube. Non conoscono altro mondo che questo. Non conoscono alcun altro modo di muoversi nel mondo che questo. Sono le avanguardie di una nuova “specie cognitiva”, quella che Wim Veen e Ben Vrakking hanno battezzato Homo zappiens: sempre connessi, interattivi e creativi. Una ne pensano, cento ne fanno. Letteralmente. Sono multitasking: mentre studiano ascoltano musica, inviano sms, con l’occhio fisso all’aggiornamento della chat.
L’apprendimento avviene per “quanti di informazione”, per bit, non per flussi continui. Immagine, suono e scrittura – che per noi “immigrati digitali” sono dimensioni differenti – per loro formano, al contrario, un continuo. Non c’è dubbio, la rete delle reti sta cambiando radicalmente la società. Come poche altre tecnologie hanno fatto, nella lunga storia dell’umanità.

A iniziare dall’economia. La rete evolutiva delle reti ha consentito, negli ultimi due o tre decenni, due processi, peraltro integrati: la (nuova) globalizzazione e lo sviluppo dell’economia della conoscenza. Gli scambi di beni e di servizi a livello internazionale sono aumentati a ritmo vertiginoso. Mentre la produzione di beni e di servizi Kti (Knowledge and Technology Intensive) rappresenta ormai il 30% del Prodotto Interno Lordo mondiale (oltre 16.000 miliardi di dollari nel 2007). Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il computer e la rete di computer (internet) e la rete delle reti di cui internet è parte. Non solo perché la quota maggiore di questi beni è costituita da strumenti per la comunicazione (45% del totale) e da computer (20% del totale). Ma perché anche lo scambio di altri beni e altri servizi Kti non sarebbe possibile – non con questa intensità, almeno – senza la rete delle reti.

Anche la scienza è stata rivoluzionata dal ciclone delle connessioni elettroniche. E non solo perché gli uomini di scienza possono sperimentare nuove forme di comunicazione interna (dalle email alle teleconferenze; dagli open archives, ai giornali open access) e di comunicazione pubblica (esplosione dei blog dei singoli ricercatori, ma anche comunicazione diretta tempestiva delle grandi istituzioni scientifiche). Ma soprattutto perché, per la prima volta nella storia, possono operare e portare avanti progetti di ricerca fisicamente delocalizzati. Infatti è in atto un processo di reale internazionalizzazione della comunità scientifica senza precedenti: in molti paesi oltre il 60% delle ricerche vengono realizzate in compartecipazione nell’ambito di gruppi internazionali. La rete fa sì che oggi vivano sul pianeta 7,1 milioni di ricercatori connessi in tempo reale. Alla fine del XIX secolo vivevano nel mondo non più di 80.000 uomini di scienza, divisi, talvolta più per costrizione che per convinzione, in comunità nazionali abbastanza rigide. Anche la comunicazione giornalistica è stata sconvolta dalla rete. Flussi praticamente infiniti di informazione provenienti da fonti le più diverse si trasferiscono all’istante da una parte all’altra del pianeta. I lettori dei giornali e i telespettatori si stanno trasferendo su internet. Non sta facendo altrettanto la pubblicità, creando seri problemi al giornalismo professionale e, di conseguenza, al controllo delle notizie.

Ma questo è un piccolo (o grande) prezzo da pagare. Narra Platone che il faraone Thamus non mostrò affatto entusiasmo quando il dio Thoth gli presentò la sua più grande invenzione, l’alfabeto. La scrittura ci farà perdere la memoria, sosteneva. Thamus commise ovviamente un errore. Non quello di aver previsto, con lucidità, che la nuova tecnologia (la prima tecnologia capace di connessione) avrebbe distrutto antichi equilibri. L’errore è quello di non aver intuito che, dopo la distruzione, la nuova tecnologia avrebbe consentito la ricomposizione di nuovi equilibri. A un livello più alto.

 

b.
L’Homo zappiens: sempre connesso, interattivo, creativo, completamente immerso in un mondo tecnologico rapidamente evolutivo fatto non solo di computer e internet, ma anche di telefoni e cellulari, video game, Wi-fi, iPod, iPad, tablet, social network, Facebook, Twitter, YouTube ecc.

 

 

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