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L’effetto dell’espansione dell’universo può essere interpretato immaginando un panettone in fase di lievitazione, i cui canditi rappresentano gli oggetti cosmici (dalle stelle agli ammassi di galassie). Mentre il panettone lievita, la distanza tra i canditi aumenta man mano che cresce il raggio: analogamente, tutti gli oggetti cosmici si allontaneranno uno dall’altro con il passare del tempo, e qualunque altra lunghezza, inclusa la lunghezza d’onda di un’onda elettromagnetica che viaggia per miliardi di anni, risulterà dilatata.
Ricevere immagini che provengono da regioni molto lontane dell’universo significa riuscire a osservarne il passato. Alla pazzesca velocità di un miliardo di chilometri all’ora, la luce proveniente dalle galassie più lontane impiega miliardi di anni per arrivare fino a noi. Osservando galassie sempre più distanti, i cosmologi possono studiare il passato sempre più remoto dell’universo. E si può osservare oltre ancora, la radiazione prodotta prima della formazione delle galassie. Fino a quale passato estremo è possibile spingersi? A causa dell’espansione dell’universo tutte le lunghezze cosmologiche si allungano con il tempo (vd. fig. a). Anche le lunghezze d’onda della luce che percorre il cosmo. Più lontana è la galassia, più a lungo avrà viaggiato la sua luce che stiamo osservando, più si sarà espanso l’universo nel frattempo e maggiore sarà la lunghezza d’onda ricevuta. La luce blu, prodotta dalle stelle calde in galassie lontane, allunga la sua lunghezza d’onda proporzionalmente all’espansione che l’universo ha subito, tra emissione e ricezione della luce, e diventa gradualmente luce rossa, o infrarossa. È un fenomeno noto come
redshift cosmologico (dall’inglese
shift, spostamento, quindi “spostamento verso il rosso”). Per osservare una galassia molto lontana, è quindi necessario usare complessi rivelatori a infrarossi, raffreddati a temperature criogeniche per ridurne il rumore (ossia i disturbi dovuti all’agitazione termica dei sensori). Inoltre, pur essendo le galassie intrinsecamente luminose (centinaia di miliardi di stelle che splendono simultaneamente!), le loro enormi distanze rendono il flusso luminoso ricevuto a terra estremamente debole. Servono grandi telescopi per raccogliere abbastanza potenza luminosa da sovrastare il rumore dei sensori. Per le galassie più lontane, i cosmologi hanno imparato a sfruttare gli ammassi di galassie (che contengono enormi addensamenti di massa) come
lenti gravitazionali (vd. fig. b), che deviano verso l’osservatore la luce proveniente dalle galassie retrostanti. In assenza dell’ammasso, la maggior parte di questa luce avrebbe continuato il suo percorso rettilineo, diretta verso regioni via via più lontane dall’osservatore, mancandolo quindi inesorabilmente. Ad oggi, l’oggetto più lontano mai osservato è la galassia MACS0647-JD (vd. fig. b): la riga Lyman-α (una delle componenti caratteristiche dello spettro dell’idrogeno) che viene emessa da questa galassia nell’ultravioletto a una lunghezza d’onda di 0,12 m, arriva a noi a una lunghezza d’onda di 1,46 m, implicando che nel frattempo l’universo si è espanso di 12 volte. Stiamo vedendo questa galassia come era 13,3 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva solo il 3% della sua età attuale ed erano passati “solo” 420 milioni di anni dal Big Bang. MACS0647-JD ha un diametro di 600 anni luce (oggi, dopo oltre 13 miliardi di anni, una galassia “nana” ha un diametro di 15.000 anni luce) ed è irregolare. È una delle prime aggregazioni di materia che, in quella remota regione di universo, nei miliardi di anni seguenti, formeranno le galassie. Per osservare il passato ancora più remoto dell’universo, dobbiamo guardare a distanze ancora maggiori. La radiazione che riceveremo avrà lunghezze d’onda nel lontano infrarosso o nelle microonde. E dobbiamo anche considerare che l’espansione di un sistema isolato implica sempre un raffreddamento. Man mano che ci inoltriamo nel passato remoto dell’universo, esploreremo quindi fasi nelle quali la temperatura era sempre più elevata. A temperature superiori a qualche migliaio di gradi, elettroni e nuclei non sono legati in atomi, ma liberi, e diffondono efficientemente la luce. Di conseguenza in quella fase, detta
primeval fireball (“palla di fuoco primordiale”), l’universo è opaco, come una nebbia incandescente che ci impedisce di osservare più lontano.
Queste condizioni si verificano nei primi 380.000 anni dopo il Big Bang: tramite la luce possiamo sondare l’universo per 13,7 miliardi di anni nel passato, arrivando a “soli” 380.000 anni dal Big Bang, ma non oltre. Data la elevata temperatura, dalla fase
primeval fireball si sono liberati luce visibile e raggi ultravioletti che, a causa del redshift, si sono trasformati oggi in flebili microonde. Scoperto nel 1965, il
fondo cosmico di microonde (CMB, Cosmic Microwave Background) rappresenta la conferma diretta della
primeval fireball. Ne è stata misurata la distribuzione di energie con un’enorme precisione (misura per la quale John Mather ha ottenuto il premio Nobel nel 2006). L’esperimento Boomerang nel 2000 ha rivelato l’esistenza di regioni leggermente più calde e leggermente più fredde e, successivamente, l’esperimento Planck, grazie alla sua maggiore risoluzione, ha permesso uno studio molto più dettagliato di queste anisotropie (vd. approfondimento). Planck ha stabilito per la prima volta quante delle microonde ricevute provengono dall’universo primordiale, quante dallo spazio extragalattico, quante dalla nostra galassia e quante dallo strumento stesso. Motivo per cui la mappa di Planck del fondo cosmico di microonde è la più accurata, dettagliata e affidabile mai realizzata. In linea di principio esistono anche dei metodi per sondare l’universo ancora più primordiale. Uno, indiretto, è lo studio delle abbondanze degli elementi. I nuclei più leggeri (idrogeno, deuterio, elio e litio) si sono formati, infatti, nei primi tre minuti dopo il Big Bang, quando la temperatura era così alta da permettere reazioni di fusione termonucleare. Usando la fisica nucleare è possibile stabilire le abbondanze dei diversi prodotti delle fusioni. Osservando nubi ancora non contaminate dalla presenza di stelle (che fondono i nuclei leggeri, creando nuclei più pesanti) si può ottenere un’ulteriore verifica della teoria del Big Bang. Un altro metodo indiretto è lo studio dello stato di
polarizzazione (vd. in Asimmetrie n. 12, approfondimento
Fotoni polarizzati e intrecci quantistici, ndr) del fondo cosmico di microonde. Se davvero c’è stata l’inflazione, si sono prodotte onde gravitazionali di grandissima lunghezza d’onda, che determinano una caratteristica configurazione di polarizzazione del fondo cosmico di microonde. Se si riuscissero a eseguire misure ultraprecise di questa configurazione, potremmo confermare l’ipotesi dell’inflazione e stabilirne l’energia (stiamo parlando di scale intorno ai 10
19 GeV, tipiche dei primi istanti dopo il Big Bang, non raggiungibili dagli acceleratori di particelle, ma interessantissime per la fisica fondamentale). Per fare questo servirebbe una missione spaziale per lo studio del fondo cosmico di microonde di nuova generazione, come Core (Cosmic ORigin Explorer) e Prism (Polarized Radiation Imaging and Spectroscopy Mission), proposte di recente. L’osservazione diretta sembra invece di là da venire. I neutrini “cosmologici” (di bassissima energia) e le onde gravitazionali possono attraversare la
primeval fireball senza interazioni apprezzabili. Ma proprio perché interagiscono così poco con la materia, dovremo aspettare molti anni prima di riuscire a sviluppare astronomie basate su questi evanescenti portatori di informazione.