Assenti giustificati
Sulle tracce del neutrino di Majorana
di Fabio Bellini
Ogni secondo il nostro corpo è attraversato da decine di migliaia di miliardi di neutrini, le particelle più elusive che conosciamo. Sono passati più di 50 anni dalla loro scoperta, ma le loro proprietà fondamentali sono ancora ignote. Gli intensi sforzi sperimentali dell’ultimo decennio hanno evidenziato che hanno massa, ma anche che essa è estremamente piccola: almeno 500.000 volte più piccola di quella dell’elettrone. Ad affascinare gli scienziati non è solo il valore della massa, ma anche la sua natura intima che potrebbe essere diversa da quella di tutte le altre particelle note. Infatti, i neutrini appartengono alla classe di particelle chiamate fermioni, i quali, in accordo con la teoria di Dirac che li descrive, hanno un partner distinto, chiamato antifermione, con la stessa massa ma con carica opposta. Il neutrino è l’unico fermione elementare a essere privo di carica e per questo potrebbe essere l’antiparticella di se stesso. Il modo più promettente per verificare questa suggestiva ipotesi, formulata da Majorana negli anni ’30, consiste nella ricerca di un processo estremamente raro: il doppio decadimento beta senza (anti-)neutrini.
Un decadimento beta semplice consiste nella trasformazione di un neutrone in un protone, con l’emissione di un elettrone e di un antineutrino (vd. fig. a). È possibile anche il processo inverso, in cui un neutrino collide con un neutrone producendo un protone e un elettrone. Se il neutrino è una particella di Majorana, cioè coincide con l’antineutrino, l’antineutrino prodotto nel primo decadimento beta potrebbe a sua volta interagire (nei panni di un neutrino) con un neutrone ed emettere un altro protone e un secondo elettrone (vd. fig. a, in basso). È questo il doppio decadimento beta senza neutrini: due neutroni si trasformano in due protoni e due elettroni, senza che vi siano neutrini nello stato finale.
a.
Tre possibili processi beta. In alto a sinistra, semplice: un neutrone all’interno di un nucleo decade in un protone (che resta nel nucleo), un elettrone e un antineutrino; in alto a destra, inverso: un neutrino interagisce con un neutrone producendo un protone e un elettrone; in basso, doppio senza neutrini: se il neutrino e l’antineutrino coincidono, l’antineutrino del processo semplice è anche il neutrino che innesca il processo inverso. Nel nucleo restano due protoni e vengono prodotti due elettroni senza neutrini.
Questo processo è permesso solo nella teoria di Majorana e la probabilità che ciò accada è proporzionale a due diverse quantità: alla probabilità di avere due decadimenti beta simultanei e al quadrato della massa del neutrino. Il secondo aspetto implica anche che l’osservazione di questo processo fornirebbe allo stesso tempo una misura della massa del neutrino. Insomma la scoperta del decadimento doppio beta senza neutrini è una delle sfide più importanti della fisica delle particelle, visto che aprirebbe definitivamente le porte a nuova fisica oltre il modello standard, confermando in un colpo solo la correttezza dell’ipotesi di Majorana, e quindi la natura speciale dei neutrini, e misurandone anche la massa. La vera difficoltà è che la probabilità che ciò si verifichi è piccolissima, così piccola che ci aspettiamo di vedere meno di un evento ogni dieci milioni di miliardi di miliardi di anni, mentre l’universo in cui viviamo ha poco più di tredici miliardi di anni! Sembrerebbe una misura senza alcuna possibilità di riuscita, ma non è così. Affinché il doppio decadimento beta senza neutrini possa avvenire è necessario che i due neutroni siano molto vicini, come lo sono all’interno del nucleo atomico. I nuclei in cui è più probabile che avvenga il decadimento doppio beta senza neutrini sono quelli con un egual numero di protoni e di neutroni: in particolare, si usano isotopi del tellurio, del germanio, dello xenon, del molibdeno e del selenio. Il tellurio (Te) è l’elemento più usato, perché quello che si trova in natura contiene più del 30% dell’isotopo 130Te utile alla misura, a differenza degli altri che contengono solo piccole percentuali dell’isotopo necessario. A questo punto l’osservazione sperimentale del doppio decadimento beta senza neutrini è apparentemente semplice: il decadimento dei due neutroni all’interno del nucleo padre (per esempio, il tellurio) produce due protoni che rimangono nel nucleo figlio (lo xenon, nel caso del tellurio) e l’emissione di due elettroni. Non essendoci altre particelle prodotte sappiamo che la somma delle energie degli elettroni deve essere uguale alla differenza tra la massa del nucleo padre e del nucleo figlio. Per evitare di aspettare più dell’età dell’universo, è necessario osservare molti nuclei insieme: per esempio 100 kg di tellurio corrispondono a quasi un miliardo di miliardi di miliardi di atomi. Con un così alto numero di atomi nel tempo di vita tipico di un esperimento (tra i cinque e i dieci anni) si dovrebbero osservare una decina di eventi. Sì, solo una decina… non pochi per un evento quasi impossibile! Per riconoscere questi pochi eventi basterà misurare l’energia dei due elettroni emessi e controllare che la somma sia quella giusta. La realtà è però assai più complicata a causa del problema del fondo. Questo consiste di tutti quegli eventi che, pur essendo di natura completamente diversa, danno luogo a un segnale indistinguibile da quello degli elettroni emessi nel doppio decadimento beta senza neutrini: due elettroni con la somma giusta di energia. Tale segnale può essere causato da decadimenti radioattivi di materiali vicini ai rivelatori oppure dalle interazioni di particelle provenienti dall’ambiente in cui il rivelatore si trova a operare. Se all’energia a cui ci si aspetta il segnale vi sono molti altri “segnali” dovuti al fondo, osservare i pochi eventi di segnale sarebbe come cercare di captare le note di un violino all’interno di uno stadio di calcio al momento del gol. Il mistero che si cela nella massa del neutrino affascina i fisici di tutto il mondo da tempo. Sono stati ideati rivelatori all’estremo limite della tecnologia conosciuta, per riuscire a trovare un evento così raro come il doppio decadimento beta senza neutrini.
b.
Ricercatori all’opera mentre assemblano alcuni dei bolometri dell’esperimento Cuore nei Laboratori del Gran Sasso (vd. approfondimento).
Già agli inizi degli anni 2000, la ricerca è stata condotta da alcuni esperimenti: da Cuoricino, il prototipo di Cuore (vd. approfondimento), e Heidelberg-Moscow, entrambi ai Laboratori del Gran Sasso, e da Nemo3 nei laboratori sotterranei del Fréjus in Francia. In tutti questi esperimenti sono state usate specie atomiche e tecniche sperimentali diverse, che hanno permesso di sviluppare e mettere a punto i metodi innovativi impiegati dagli esperimenti che inizieranno a prendere i dati nei prossimi anni. Oltre a Cuore, che usa il tellurio e inizierà a prendere dati nel 2015, ci sono Gerda, sempre nei Laboratori del Gran Sasso, che impiega germanio e che scherma il rivelatore usando argon liquido, il giapponese Kamland-Zen, che impiega xenon, e infine Exo, negli Stati Uniti, che usa le proprietà scintillanti dello xenon insieme a un ingegnoso sistema di tracciamento degli elettroni. È ben possibile che nei prossimi anni riusciremo a scoprire almeno un decadimento doppio beta senza neutrini, chiara indicazione di nuova fisica oltre il modello standard, che aprirà la strada a una stagione di nuove misure. Potrebbe anche succedere che nessuno degli esperimenti in funzione riesca nel suo scopo. In entrambi i casi sarà necessario sviluppare rivelatori ancora più sensibili al segnale e ancora più capaci di rigettare il fondo: il progetto Lucifer ha già raccolto questa sfida del domani e svilupperà, presso i Laboratori del Gran Sasso, un prototipo di rivelatore innovativo. Molti degli esperimenti alla ricerca del decadimento doppio beta senza neutrini, come Cuore, operano in condizioni di estremo freddo ma, come ci ricorda il nome di Lucifer, la sfida si preannuncia molto calda.
[as] approfondimento
Dritti al Cuore
1. L’Infn ha contribuito al recupero di una nave romana naufragata 2000 anni fa che trasportava piombo. Nella figura uno dei circa 300 lingotti recuperati e poi fusi per costruire lo schermo dell’esperimento Cuore ai Laboratori del Gran Sasso. |
Cuore, in costruzione nei Laboratori del Gran Sasso dell’Infn, è un esperimento ideato per studiare il decadimento doppio beta senza neutrini. Il rivelatore è costituito da circa mille cristalli di diossido di tellurio (equivalenti a circa 200 kg dell’isotopo 130Te), ciascuno funzionante come un bolometro. Con questo nome si indica uno strumento capace di misurare l’innalzamento di temperatura prodotto dal passaggio al suo interno di una particella carica, per esempio un elettrone. La variazione di temperatura è determinata dalla capacità termica del bolometro stesso: più quest’ultima è piccola, più la variazione di temperatura provocata dal passaggio dell’elettrone sarà grande e quindi facile da misurare. A basse temperature, la capacità termica diminuisce come il cubo della temperatura stessa: i cristalli di Cuore sono dunque tenuti a una temperatura molto bassa, 10 millesimi di kelvin, condizione necessaria per misurare le piccolissime variazioni di temperatura indotte dal passaggio degli elettroni emessi nel doppio decadimento beta senza neutrini. I Laboratori del Gran Sasso si trovano in grandi sale scavate accanto a una delle gallerie autostradali che attraversano la montagna del Gran Sasso, in Abruzzo. La roccia della montagna, con uno spessore equivalente a circa 3500 m di acqua, assorbe le particelle di origine cosmica e riduce drasticamente il contributo al fondo dovuto all’ambiente esterno. Luogo ideale per la ricerca di eventi rari, ma non ancora sufficiente per la misura del decadimento doppio beta senza neutrini. Infatti, le medesime rocce che proteggono dal fondo esterno, producono la cosiddetta radioattività naturale, dovuta a isotopi radioattivi contenuti nelle rocce stesse. Cuore è stato schermato da questo fondo, usando diversi materiali radiopuri, caratterizzati cioè da una radioattività naturale molto bassa. In particolare lo strato più vicino al rivelatore di segnale (i cristalli di diossido di tellurio) è stato realizzato con piombo antico di origine romana, recuperato pochi anni fa dal fondo del mare sardo, dove era rimasto per più di duemila anni dopo un naufragio: essere stato al riparo così a lungo dai raggi cosmici rende questo piombo lo schermo più radiopuro disponibile oggi.
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