[as] riflessi
Voci dal profondo.

di Antonella Varaschin


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Un capodoglio nel Mar Mediterraneo. Il suono dei capodogli è stato registrato dal Cibra nel 2005, nell’ambito della collaborazione con il progetto Nemo, e anche di recente nell'ambito del progetto Km3net. Il Cibra si è affermato in Italia e soprattutto all’estero su temi di ricerca legati all’acustica subacquea e allo studio dei mammiferi marini, e vari temi sono disponibili per tesi di laurea e di dottorato.
Lo sciabordio delle onde sulla battigia o contro gli scogli. O sulla chiglia di una barca ormeggiata. Suoni naturali, suoni dovuti alla presenza dell’uomo, in ogni caso suoni che possiamo sentire a “orecchio nudo”. Ma mille altri sono i suoni del mare che noi non possiamo sentire, se non con l’ausilio di strumenti adeguati. Studiare tutti questi rumori e la loro variazione nel tempo è utilissimo ai ricercatori per conoscere l’ambiente marino e valutarne l’evoluzione e lo stato di salute. Di questo si occupa la bioacustica: monitorare, registrare, analizzare i rumori del mare. Uno degli antesignani in Italia di queste ricerche è Gianni Pavan, direttore del Centro Interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche Ambientali (Cibra) dell’Università di Pavia. “Ho iniziato a occuparmi di bioacustica negli anni ’80 e negli anni ’90 – incomincia il suo racconto Pavan – quando questo approccio allo studio delle balene era ancora pionieristico. Oggi, invece, ricercatori dell’Infn, dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), del Cibra e di alcune università effettuano il monitoraggio dei rumori del mare, installando microfoni sottomarini (idrofoni) a grandissima profondità”. Tutto ha inizio nel 2005 quando le prime strutture del rivelatore Nemo, l’osservatorio sottomarino per i neutrini dell’Infn (il precursore di Km3net), equipaggiate con idrofoni, furono calate in mare al largo di Catania e ancorate a 2000 metri di profondità. “Allora la preoccupazione principale – spiega Pavan – era che le strutture installate in fondo al mare non avessero un impatto negativo sulle popolazioni di delfini e capodogli, ma anche che i cetacei potessero interferire con le ricerche di fisica”. Furono perciò organizzati alcuni incontri per discutere questi aspetti e Pavan fu invitato a presentare il punto di vista della biologia. Nacque allora l’idea di una collaborazione tra diverse aree di ricerca, dalla fisica delle astroparticelle alla bioacustica, dalla biologia marina alla geofisica, visto che anche l’Ingv aveva installato i suoi rilevatori sismici sulla stessa infrastruttura marina. E i primi risultati non si fecero attendere molto. Gli studi portarono una buona nuova: la popolazione di capodogli nel Mediterraneo era molto più numerosa di quanto ci si aspettasse! “La notizia in poche ore fece il giro del mondo e la bioacustica si rivelò così anche un buon argomento da comunicare!”, commenta con ironia Pavan. Successivamente, nel 2009 un articolo sulla prestigiosa rivista Nature consacrò queste ricerche a livello scientifico.
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Gianni Pavan, direttore del Cibra. Assieme a Infn, Università Sapienza di Roma, Università di Roma 3, Ingv, il Cibra fa parte della collaborazione Smo (Submarine Multidisciplinary Observatory). Dal 2000 è impegnato nel progetto Nemo (oggi Km3net) e attualmente anche nel nuovo progetto Lido per il monitoraggio acustico dell’ambiente subacqueo con piattaforme cablate in fibra ottica.
“Riguardo alle ricerche attuali – continua a raccontare Pavan – posso dire con soddisfazione che da luglio 2012 è operativa una nuova piattaforma di ascolto di fronte a Catania, equipaggiata anche con sensori geofisici e acustici a bassa frequenza, utili per il rilevamento delle balenottere, e che il 24 marzo scorso è stata installata una torre dell’esperimento per neutrini, che ora ha preso il nome di Km3net. Su questa torre, grazie al progetto Futuro in Ricerca-Smo, sono stati collocati 14 idrofoni che, dal momento della loro installazione a 3500 metri di profondità, trasmettono incessantemente dati a terra e fin da subito hanno sentito nuovamente i suoni dei capodogli. Installare idrofoni a profondità così grandi – prosegue Pavan – permette di approfondire quale sia l’impatto dell’uomo sull’ambiente marino. Faccio un esempio: le balenottere comunicano tra loro anche a centinaia di chilometri di distanza con suoni che viaggiano a basse frequenze. Le stesse dei rumori prodotti dal traffico navale. Ora, a causa di questo disturbo, noi non riusciamo più a sentire le balenottere come prima. È chiaro che lo stesso vale anche per loro. Quindi, usufruire delle infrastrutture di ricerca della fisica per noi è stato fondamentale perché, nonostante io ritenga che la biologia debba finanziarsi da sé, non può contare sulle stesse risorse della fisica delle particelle, perché diverse sono le esigenze: i fisici particellari allestiscono grandi e sofisticati esperimenti frutto di collaborazioni internazionali, la biologia invece conserva ancora un carattere locale legato a piccoli gruppi”. “Per quanto riguarda il futuro – conclude Pavan – vorremmo creare una rete di sensori nel Mediterraneo. Oltre all’infrastruttura in Sicilia, ce ne sono altre due: nel Mar Ligure (una boa del Cnr, che potrebbe essere utilizzata per installare sensori acustici, ndr) e al largo di Tolone (l’esperimento Antares, sempre per lo studio dei neutrini, ndr), ma ce ne vorrebbe una nell’Adriatico. Dopodiché l’unica difficoltà da gestire sarebbe l’analisi della gran mole di dati, considerate le nostre risorse limitate: siamo infatti una decina in tutto a lavorarci. Nonostante questo, riuscire a creare questa rete darebbe a noi biologi la possibilità di capire la complessità dei movimenti degli animali, come reagiscono alle stagioni, alle attività umane e chissà quanto altro”.
 

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