[as] traiettorie
Il fisico che viene dal mare.
di Vincenzo Napolano
a .
Simone Russo ha iniziato la sua carriera nei Laboratori del Sud con il progetto Km3net e lavora oggi come ricercatore del Joint Research Centre sul Lago Maggiore.
[as] Il tuo primo laboratorio dunque era in mezzo al mare?
Simone [S]: In un certo senso sì. Sulle imbarcazioni facevamo le misure per determinare le proprietà delle acque in diversi siti profondi del Mar Mediterraneo. Il parametro più importante per noi era l’attenuazione della luce “in situ”, che misuravamo con rivelatori fatti per lavorare ad altissima profondità, in collaborazione con biologi e oceanografi, intercalibrando le nostre misure. È stato il mio primo lavoro di ricerca e ha lasciato un imprinting indelebile sulla mia passione per la fisica e anche su quella per il mare. Non a caso dopo ho continuato a tenerle assieme molto a lungo.
[as] Poco dopo la laurea però hai deciso di abbandonare la ricerca per dedicarti a un lavoro “vero”…
[S]: Per un anno e mezzo ho lavorato all’acquisizione di immagini dei fondali marini a largo delle coste egiziane, per un’azienda che costruisce i tubi che collegano le piattaforme per l’estrazione del gas naturale e in cui viene pompato il gas stesso. Significava stare intere settimane lontani da terra, a contatto con un vero equipaggio di marinai, con turni di lavoro e ritmi massacranti, anche dal punto di vista fisico. Qui però ho imparato a far fruttare le conoscenze e la forma mentis acquisite con lo studio e la ricerca, per ottimizzare risultati e tempo di un processo di lavoro molto rigido. Credo sia stata un’esperienza decisiva per la mia vita.
[as] Dopo la quale sei tornato alla ricerca.
[S]: Si. Però ho invertito i termini del binomio fisica e mare: questa volta ho usato la fisica per studiare il mare. Collaborando principalmente con un gruppo di ricerca dell’ex- Icram (oggi divenuto Ispra), mi sono occupato di analisi dei dati del monitoraggio delle acque e di modelli matematici di alcuni fenomeni marini, come l’eutrofizzazione.
[as] Ovvero?
[S]: Gli scarichi che derivano dall’allevamento degli animali, dall’agricoltura e dalle nostre città generano in mare un accumulo di sostanze organiche e la formazione di alghe, che sono prodotte più rapidamente di quanto il sistema riesca a degradarle. Questo fenomeno è l’eutrofizzazione e provoca in alcuni casi morie di pesci e stati di sofferenza degli organismi del fondale marino. Può essere studiato e interpretato con modelli matematici rigorosi, che aiutano a prenderci cura del nostro mare, avendo a disposizione i dati di un monitoraggio continuo e omogeneo delle acque.
[as] Che in Italia però non riusciamo a fare dappertutto.
[S]: Purtroppo non ancora. Anche per questo durante il dottorato ho aggiustato il tiro della mia ricerca e mi sono occupato di un altro aspetto: la ricostruzione della storia dell’ambiente marino in epoche passate, a partire dall’analisi geochimica di coralli sottomarini. L’idea di riprodurre con dei modelli matematici l’evoluzione dell’ambiente marino mi ha sempre affascinato e la modellizzazione di sistemi complessi e fenomeni estremi è divenuto il cuore dei miei interessi. In seguito ho allargato ulteriormente il mio orizzonte, ma la prospettiva è rimasta la stessa.
[as] Dallo studio del mare del passato a quello del futuro del nostro pianeta...
[S]: Da qualche anno mi occupo di sviluppare e applicare a situazioni locali i modelli che cercano di predire l’evoluzione del clima globale. Si tratta di provare a catturare il comportamento di sistemi fisici, caratterizzati da un’evoluzione caotica e dall’interazione di moltissime variabili. È chiaro che le predizioni che proviamo a formulare hanno grandi implicazioni sociali ed economiche. Dal punto di vista di chi, come me, si confronta quotidianamente con i modelli matematici, si tratta di una sfida intellettuale entusiasmante, che motiva e gratifica profondamente.
[as] Oggi sei un ricercatore dell’Ispra, distaccato presso lo Joint Research Centre della Commissione Europea. La tua traiettoria di fisico è stata molto singolare: sei approdato a uno dei temi teorici più hard, partendo da misure sperimentali in mare. Ti ha aiutato stare in Italia?
[S]: L’Italia non è un posto facile per chi vuole fare ricerca. E io ho lavorato anche all’estero, in Olanda e Francia, per poi tornare all’Ispra qualche anno fa. Per muovermi nel mondo accademico spesso ho dovuto dribblare ostacoli non propriamente scientifici e probabilmente questo ha influenzato la mia traiettoria… La cosa più importante, però, credo sia non spegnere mai il cervello e continuare a cercare le persone e le situazioni più stimolanti. Anche perché oggi nessuno fa ricerca da solo.
{jcomments on}