Elettroni in tuta blu
Acceleratori anche per l’industria.
di Amedeo Staiano

Sterilizzare i contenitori per alimenti, abbattere i fumi dannosi delle centrali termoelettriche e trattare le acque di scolo: sono solo alcune delle più disparate attività che gli acceleratori di particelle ci permettono di realizzare.
Una classe particolare di macchine acceleratrici, che ha avuto e ha tutt’oggi un florilegio di applicazioni industriali in una vasta gamma di settori, è quella degli acceleratori di elettroni (chiamati anche e-beam in ambito industriale), con energie di fascio che vanno da qualche centinaio di kiloelettronvolt (keV) a energie massime di 10 megaelettronvolt (MeV). Queste macchine possono essere utilizzate sia per il trattamento dei materiali, come vedremo tra poco, sia come strumento per la ricostruzione di immagini tridimensionali di strutture interne, e anche per l’analisi di difetti delle superfici metalliche.

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I processi chimici che avvengono all’interno di un polimero irradiato hanno nomi sofisticati come co-polimerizzazione, grafting, curing, degradazione, cross-linking. Questa è una rappresentazione schematica di un esempio di cross-linking, ovvero di giunzione trasversale di due catene polimeriche come risultato della ionizzazione indotta dagli elettroni che attraversano il materiale.
Nel caso di fasci di elettroni (e di fotoni, che si ottengono da questi ultimi a energie minime di qualche MeV, facendoli rallentare), i meccanismi di interazione della radiazione con la materia consentono lo sviluppo di due principali aree di applicazione, negli ambiti della biologia e della chimica.

Nel primo caso, il trattamento con elettroni produce un’alterazione delle caratteristiche biologiche del campione trattato: è utilizzato per la sterilizzazione dei presidi medico-chirurgici e per trattare alcuni prodotti agroalimentari, per disinfestare, degermogliare e debatterizzare. In questi settori, soprattutto in quelli legati al trattamento degli alimenti, ogni paese impone i propri vincoli legislativi rendendo molto eterogenea la modalità di utilizzo di questa tecnologia.
Nel secondo caso, la radiazione alla quale il materiale è sottoposto induce in esso delle reazioni chimiche che producono un’alterazione strutturale. Il materiale può così acquisire caratteristiche chimico-fisiche nuove. Il trattamento con e-beam si propone perciò in ambito industriale come alternativa ai trattamenti chimici e termici dei materiali che hanno spesso delle importanti limitazioni di applicabilità per le più svariate ragioni (tossicità dei prodotti, dimensioni dei campioni da trattare, efficienza e costo del processo, per fare alcuni esempi). Anche se esistono importanti applicazioni nel settore della vulcanizzazione della gomma, nella produzione di materiali compositi e, in generale, nel settore tessile, è l’industria dei polimeri a essere privilegiata.

I processi chimici che avvengono all’interno di un polimero irradiato (per esempio il polietilene, che ha delle proprietà particolarmente adatte a questo tipo di trattamento) consistono in alterazioni delle catene molecolari in grado di amplificare o degradare la qualità e la quantità delle interconessioni di queste lunghe molecole responsabili delle caratteristiche macroscopiche del materiale. È una complessa alchimia, che richiede la definizione di molti aspetti: dalla scelta dei polimeri e dei loro additivi, a quella dell’ambiente di irraggiamento (temperatura, presenza o meno dell’aria), dal rateo di dose (cioè la quantità della dose nell’unità di tempo), alla quantità integrata di dose rilasciata al campione. L’ottimizzazione del processo di trattamento porta alla realizzazione di prodotti ad alto contenuto di innovazione che si possono ottenere solo con questa tecnologia. È il caso, per esempio, dei cavi resistenti alle alte temperature o dei materiali dotati di “effetto memoria”, che sono cioè in grado di modificare la loro forma a seconda della temperatura, ritornando poi alla forma originaria. Esiste anche un terzo campo di applicazione del trattamento con e-beam, che al momento è in fase di sviluppo in alcune parti del mondo, come gli Stati Uniti, la Russia, il Giappone, la Cina e la Germania: è il settore ambientale.
Impianti di e-beam ad alta potenza possono essere utilizzati per il trattamento delle acque e dei fanghi di scarico degli impianti industriali od ospedalieri, e per l’abbattimento di gas che vengono immessi nell’atmosfera a seguito di processi di combustione. In quest’ultimo caso l’abbattimento delle sostanze inquinanti, come l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto, porta infatti alla produzione di solfati e nitrati di ammonio, che possono essere utilizzati come fertilizzanti in agricoltura. Oggi esistono al mondo più di 1.250 acceleratori di elettroni dedicati ad applicazioni industriali, e si trovano soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, in Russia e in Giappone. È sicuramente una tecnologia in espansione ma con caratteristiche che ne rallentano la crescita. Richiede, infatti, un alto livello di know how e di sperimentazione industriale, ma può rimanere in competizione con tecnologie più convenzionali, più inquinanti e invasive dal punto di vista ambientale ma, quando la legislazione ne consenta l’utilizzo, più economiche e accessibili.

Biografia
Amedeo Staiano è ricercatore Infn presso la sezione di Torino. Ha svolto attività di ricerca in fisica delle alte energie al Cern, allo Slac e al Desy. Attualmente coordina il gruppo Università e Infn di Torino impegnato nell’esperimento Cms al Cern.

 

Link
http://www.to.infn.it/activities/misc/e-beam/home/_private/index.htm
http://www.ebeamservices.com/default.htm
http://www.metallurgicabresciana.it

 

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