[as] intersezioni
Quando la massa non pesa.
di Umberto Guidoni
astronauta (missione Sts-75, 1996, e missione Sts-100, 2001)
Passano poco più di otto minuti dall’accensione dei motori dello Space Shuttle al momento in cui essi tacciono definitivamente. Un volo breve, durante il quale si lascia alle spalle la Terra e si raggiunge l’orbita. Al principio, lo Shuttle si innalza lentamente, fatica a sollevare il suo peso di oltre duemila tonnellate. Gradualmente accelera fino a diventare supersonico – una, due, …25 volte. L’accelerazione si stabilizza attorno a tre volte l’accelerazione di gravità sulla Terra e rimane costante negli ultimi minuti: una sensazione di pesantezza, mai provata così a lungo, che rende difficile persino muovere la testa. Poi, il senso di schiacciamento sparisce d’incanto, cessa il rumore dei motori e si è proiettati in avanti dall’improvvisa decelerazione, come nel caso di una brusca frenata. Le cinghie di sicurezza del seggiolino impediscono di volare via ma, invece di ritornare seduti, si rimane a galleggiare tra il seggiolino e le cinture. Quando ci si sgancia e si prova a fluttuare liberamente, i normali riferimenti, il “su e giù”, non hanno più significato e il cervello rischia di confondersi. Se la percezione fisica di quell’insolita leggerezza può creare confusione, la vista della Terra dall’oblò contribuisce a sconvolgere la percezione della realtà. Mentre si compie un’orbita in appena novanta minuti, si susseguono immagini da capogiro; uno spettacolo sempre diverso a cui è difficile abituarsi. Da un lato, il nero dello spazio profondo trapuntato di stelle, dall’altro i colori cangianti dei continenti, degli oceani, delle montagne. Ci vuole qualche ora per imparare a convivere con questa singolare dimensione, dove si è affrancati dalla schiavitù del peso. All’inizio si è maldestri, si compiono movimenti scomposti e si è confusi rispetto alla propria posizione dentro la navetta. Ben presto, però, si trova un nuovo equilibrio che permette di ridefinire i riferimenti spaziali: dove sono i miei piedi è basso e dove è la mia testa è alto, e in una frazione di secondo l’intera cabina ruota sottosopra per riportarmi con la “testa a posto”. Sono gli altri membri dell’equipaggio a essere “fuori posto”, visto che si ostinano a stare con i piedi su quello che è diventato per me il soffitto. Fluttuare privi di peso è un’esperienza che espande la sfera dei sensi, introduce nuove situazioni e insoliti problemi di mobilità: per esempio non si può camminare né stare seduti. Mentre si impara ben presto a spostarsi con piccole spinte alle pareti, stare fermi è davvero difficile e basta pigiare sui tasti del computer per cominciare ad allontanarsi all’indietro. Per stabilizzarsi in una determinata posizione, occorre infilare i piedi nelle strisce di tessuto opportunamente sistemate sul pavimento. Si avvertono anche i cambiamenti che avvengono nel proprio corpo. Liberata dal suo fardello, la colonna vertebrale si distende e fa guadagnare qualche centimetro d’altezza, lo stomaco risale e il sangue affluisce in maggior quantità verso la testa. L’assenza di peso ha effetti su tutte le attività quotidiane che, sulla Terra, si fanno senza pensare. In un ambiente dove non c’è una direzione privilegiata e dove i riflessi innati non sembrano funzionare, bisogna reinventare come mangiare, dormire, lavarsi. Si fa appena in tempo ad adattarsi a questa nuova realtà che è già tempo di tornare. È difficile riabituarsi al proprio peso quando, alla fine della missione, si torna “con i piedi per terra”. Dopo settimane di inazione, i muscoli dei polpacci sono indolenziti e si fa fatica a fare un passo dopo l’altro e a camminare in linea retta. Solo poche ore prima ci si spostava con il tocco di un dito, ora qualsiasi movimento richiede uno sforzo quasi sovrumano. Sulle prime, ho l’impressione di essere atterrato sul pianeta sbagliato! Ma la brezza marina e l’odore dell’erba umida, che avverto appena fuori dalla cabina dello Shuttle, mi confermano che sono a casa.
b.
Lancio dello Space Shuttle, il 19 aprile del 2001, con a bordo Umberto Guidoni. La missione Sts-100, della durata di 11 giorni, è stata la nona visita dello Shuttle alla Stazione Spaziale Internazionale (Iss).
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