Notizie dalla stazione spaziale
Antimateria e materia oscura al vaglio di Ams
di Bruna Bertucci
Un selfie scattato in orbita da un astronauta: in alto a sinistra è visibile l’esperimento Ams-02 installato sulla struttura della Iss.
La conclusione del discorso di Dirac rappresenta idealmente il punto di partenza per l’avventura dell’Alpha Magnetic Spectrometer (Ams-02), a cui partecipano per l’Italia l’Infn e l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), uno strumento che ora si trova sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) concepito per cercare proprio i deboli segnali di antiparticelle di materia nel flusso ininterrotto dei raggi cosmici che popola lo spazio attorno alla Terra.
La ricerca di questi segnali che appartengono all’infinitamente piccolo può infatti fornire gli indizi necessari a risolvere alcuni dei misteri ancora insoluti dell’infinitamente grande: l’universo.
Il primo mistero è legato alla predominanza di particelle di “materia” attorno a noi (la bariogenesi): dove sono finite le particelle di antimateria? Nei primi istanti di vita dopo il Big Bang siamo infatti portati a supporre che l’universo fosse “simmetrico”, ossia popolato in egual misura di particelle elementari di materia e delle loro antiparticelle. La loro naturale e violenta annichilazione ha apparentemente condotto alla scomparsa dell’intera popolazione di antiparticelle e l’universo si sarebbe quindi evoluto a partire dalle particelle di materia – una 26 > 27 parte su un miliardo – sopravvissute all’annichilazione. Non esistono ad oggi giustificazioni teoriche sufficienti a spiegare la nascita di quest’asimmetria. Trovare quindi dei nuclei di anti-elio o di elementi più pesanti, che non possono essere prodotti naturalmente in un universo fatto di sola materia, aprirebbe un nuovo scenario in cui l’antimateria non sarebbe scomparsa, ma solo confinata in regioni dell’universo lontane dalla Terra.
Il secondo mistero è la natura della materia che compone il nostro universo. Solo il 5% del contenuto di massa-energia del nostro universo è attribuibile alla materia ordinaria di cui siamo fatti, sostanzialmente protoni, neutroni ed elettroni, mentre circa il 22% è rappresentato da particelle di materia oscura, nuove specie di particelle elementari debolmente interagenti con la materia ordinaria e quindi “invisibili” ai telescopi sensibili alla luce prodotta dalle interazioni elettromagnetiche della materia. Ma da rare collisioni di particelle di materia oscura (che scontrandosi tra di loro si auto-annichilano), possono essere generati fotoni, particelle e antiparticelle di materia ordinaria (elettroni/positroni, protoni/antiprotoni), il cui flusso si sovrappone a quello dei raggi cosmici. Pur esistendo diverse teorie e ipotesi sulla natura della materia oscura e molte incertezze sul numero di collisioni attese, in tutti gli scenari possibili i flussi di particelle prodotti dalle collisioni di materia oscura sono di diversi ordini di grandezza più piccoli rispetto a quelli delle par ticelle dei raggi cosmici, prevalentemente protoni, nuclei di elio ed elementi più pesanti con una piccola percentuale (1%) di elettroni. L’unica speranza per individuare un segnale di materia oscura sono i flussi di antiparticelle, particolarmente deboli nei raggi cosmici ordinari. Abbondanze di circa un antiprotone ogni 10.000 protoni e di un positrone ogni 10 elettroni sono attese a causa delle collisioni dei raggi cosmici con il mezzo interstellare: questi flussi possono essere paragonabili a quelli attesi dalla materia oscura e costituiscono quindi un “fondo” contro cui lottare ad armi pari nella caccia a nuovi fenomeni. Sperimentalmente, la prima sfida nel cercare segnali deboli come le particelle di antimateria richiede di intercettare i raggi cosmici prima che essi abbiano la possibilità di interagire con l’atmosfera terrestre, generando un flusso di particelle di antimateria che potrebbero falsare la misura. Per questo motivo i rivelatori dedicati a questo tipo di ricerca sono inviati negli strati superiori dell’atmosfera con palloni aerostatici o messi in orbita nello spazio con satelliti, come Pamela o Fermi, o a bordo della Iss, come Ams-02. La seconda sfida è quella di riuscire a raccogliere un campione significativo di particelle. Il numero di antiparticelle atteso alle energie interessanti per identificare nuovi fenomeni è di poche centinaia di eventi all’anno per superfici esposte dell’ordine del metro quadro. Tuttavia, i limiti di peso e potenza elettrica per far funzionare uno strumento nello spazio impediscono di aumentare a piacimento le dimensioni degli apparati. Per tanto, l’unica alternativa è quella di progettare strumenti in grado di operare con alta ef ficienza per anni.
L’esperimento Ams-02 al Kennedy Space Center della Nasa poco prima del suo inserimento nel vano di carico dello Shuttle Endeavour.
Le tecniche utilizzate e la complessità dell’apparato sono comparabili a quelle dei più moderni strumenti operanti negli acceleratori di particelle, ma adattate per operare in un ambiente spaziale. Ams-02 opera continuativamente, dal maggio 2011, a bordo della stazione spaziale internazionale, in orbita a circa 400 km dalla superficie terrestre, assorbendo una potenza complessiva di 2kW – meno di una lavatrice! Le dimensioni dell’apparato di 3 metri di larghezza per 3 metri di lunghezza e 5 metri di altezza, con un peso complessivo di circa 7 tonnellate, lo rendono un gigante nello spazio, ma corrispondono a una piccola frazione del tipico esperimento che opera in Lhc. Il controllo dell’esperimento avviene a distanza, mediante la rete satellitare della Nasa, che permette di comunicare con la Iss e attraverso cui vengono anche scaricati i dati dei suoi circa 300.000 canali di elettronica. Nella sala di controllo del Cern e nella sua gemella a Taiwan, i fisici di turno verificano 24 ore su 24 che non ci siano problemi nell’apparato e reagiscono in tempo reale, aggiustando i parametri di controllo dell’esperimento in base alle necessità che si presentano a bordo della stazione.
Nei primi trenta mesi di presa dati, Ams-02 ha raccolto i segnali provenienti da circa 40 miliardi di particelle cosmiche, una statistica superiore a quella accumulata dall’insieme di tutti gli esperimenti condotti nel corso del secolo che ci separa dalla scoperta dei raggi cosmici. Tra queste particelle, sono stati identificati circa 10 milioni di elettroni e circa un milione di positroni, con cui è stata effettuata la misura del rapporto tra i positroni sull’insieme di elettroni e positroni, raggiungendo un limite di energie finora inesplorato per questi componenti della radiazione cosmica. Questo risultato conferma un eccesso di positroni rispetto alle abbondanze naturali aspettate nei raggi cosmici, come già osservato in precedenza da Pamela e nei primi 18 mesi di operazione di Ams-02, estendendo l’intervallo di energia misurata e migliorandone la precisione. Ciò è di estrema importanza per tracciare un identikit di possibili sorgenti di antimateria. Una di queste sorgenti potrebbero essere proprio le collisioni di materia oscura (vd. approfondimento).
Ma l’aumento della frazione di positroni è dovuta a una sorgente aggiuntiva di positroni o a una “sparizione” di elettroni? Lo studio del flusso separato di elettroni e positroni ne caratterizza con estrema precisione l’andamento con l’energia.
Lo Shuttle Endeavour, che nel 2011 ha portato Ams-02 sulla Iss, sulla rampa di lancio del Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida.
Positroni di troppo
Queste osservazioni sono interpretabili con il flusso di positroni generato nelle collisioni di particelle di materia oscura (in particolare, i neutralini) di massa dell’ordine di 1 TeV. Tuttavia, per stabilire se l’origine dell’eccesso dei positroni è realmente legata alla materia oscura o se sia dovuto a sorgenti astrofisiche, ad esempio pulsar vicine al nostro pianeta, dovrà essere determinato il tasso di decrescita della frazione (vd. fig. 1) e confrontato l’effetto osservato con quello misurato in altre componenti di antimateria, ad esempio gli antiprotoni.
D’altra parte, la missione di Ams-02 è solo all’inizio, e si prevede che l’esperimento continuerà la sua presa dati durante tutta la vita operativa della Iss, quindi ancora un decennio di osservazioni e misure lo attendono, per proseguire la caccia all’antimateria e osservare o definitivamente escludere la presenza di anti-elio nel nostro universo. Allo stesso tempo, le misure di composizione e di spettro energetico dei raggi cosmici ordinari permetteranno di avanzare nello studio delle loro sorgenti e dei meccanismi con cui giungono a noi attraversando la galassia, l’eliosfera e la magnetosfera terrestre.
Biografia
Bruna Bertucci è professore di fisica presso l’Università di Perugia. La sua attività di ricerca nasce nel campo delle particelle elementari alla fine degli anni ’80 con la partecipazione agli esperimenti del Lep del Cern. Dalla fine degli anni ’90 si dedica prevalentemente allo studio sperimentale dei raggi cosmici nello spazio, prima con l’esperimento Ams-01 e quindi con Ams-02, di cui è attualmente responsabile italiano.
Link
http://www.ams02.org
http://www.asdc.asi.it/
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