[as] con altri occhi
Febbre da particelle.

di Mark Levinson
regista del film "La particella di Dio"


a.
Il regista Mark Levinson davanti all’esperimento Atlas del Cern.

Mi chiedono spesso consigli su come entrare nell’industria cinematografica. Rispondo che la buona notizia è che non occorre frequentare una scuola di cinema; la cattiva è che ho un dottorato in fisica teorica. In un certo senso, il lavoro di pre-produzione del film La particella di Dio (Particle Fever) è stato il più lungo della storia del cinema.
Sebbene il salto dalla fisica alla cinematografia possa sembrare enorme, quasi un salto quantico, il passaggio è avvenuto in modo abbastanza naturale. La fisica mi affascinava per l’eleganza e la bellezza profonda delle teorie, per la magia e il mistero racchiusi nei simboli astratti che, pur se inventati dall’uomo, svelano verità profonde sull’universo. Sono passato alla cinematografia quando ho capito che costituiva un’alternativa, altrettanto magica e misteriosa, per rappresentare ed esplorare il mondo.
Nel mondo del cinema ho scelto di occuparmi di finzione narrativa. Per molti anni ho coltivato la speranza di trovare un progetto che potesse coniugare queste mie due anime, apparentemente incompatibili tra loro, e che trasponesse le emozioni della fisica in un’opera artistica. Raramente la scienza è stata rappresentata adeguatamente nella finzione cinematografica, così cominciai a pensare a diversi scenari su cui basare un film. In seguito, grazie ad alcuni possibili finanziatori per una sceneggiatura che avevo scritto, sentii parlare di David Kaplan, un fisico che desiderava realizzare un documentario sull’impresa di Lhc.
David è un teorico delle particelle che era coinvolto direttamente in Lhc e che interagiva quotidianamente con persone che riponevano grandi speranze in quello che avrebbe trovato Lhc. Alcuni di loro avevano aspettato 30 anni un esperimento come questo, che potesse finalmente confermare o meno le loro teorie. Si trattava di un momento unico nella storia della scienza, una svolta che avrebbe sicuramente risposto ad alcune delle domande più profonde sulle leggi dell’universo.

b.
Proiezione del film Particle Fever al Cern nel novembre 2014. In sala erano presenti il regista e tutti gli “attori”, tra cui (terza da sinistra) Fabiola Gianotti. In Italia il film è prodotto da Feltrinelli Real Cinema in collaborazione con LaEffe.
Mi fu subito chiaro che questa avrebbe potuto essere la perfetta combinazione di una grande scoperta scientifica e di una spettacolare vicenda umana. Quando incontrai David, gli confessai che non mi interessava realizzare un documentario “scientifico” tradizionale che cercasse di spiegare ogni cosa, quanto piuttosto una vicenda umana, incentrata sui personaggi, che mi permettesse di ricorrere agli strumenti narrativi che avevo sviluppato. Questo era l’aspetto che più mi affascinava. E questo era esattamente quello che David voleva realizzare. Ovviamente la realizzazione del film comportava molte sfide. In primo luogo, l’esperimento coinvolgeva 10.000 persone. Eravamo certi di volere una storia basata sui singoli personaggi, ma chi scegliere? Per di più le persone erano sparse in tutto il mondo. Sarebbe stato possibile, dato il budget abbastanza limitato, coinvolgere persone provenienti da così tanti Paesi? Poiché volevamo raccontare la storia di una scoperta scientifica reale, dovevamo decidere continuamente quando e dove si sarebbero verificati eventi significativi. E ancora più importante, quanto a lungo avrebbero dovuto durare le riprese? E che cosa avremmo fatto, se alla fine non ci fosse stata alcuna scoperta? David e io ci incontrammo alla fine del 2007 e incominciai a lavorare seriamente al documentario a tempo pieno all’inizio del 2008. Pensavo continuamente a una possibile conclusione, a qualcosa che potesse rappresentare una fine interessante per il film. In realtà non credevamo che avrebbero scoperto il bosone di Higgs durante le riprese. Secondo la maggior parte dei fisici l’eventualità era improbabile e gli sperimentali avrebbero avuto bisogno di anni per capire a fondo il funzionamento dei loro rivelatori. E proprio quando stavamo completando la pellicola con i risultati provvisori, venne dato il grande annuncio: era il 4 luglio 2012. La scoperta del bosone di Higgs divenne l’epilogo reale e straordinario del nostro film. La sfida maggiore in fase di realizzazione è stata certamente rendere il film accessibile a un pubblico non esper to. Desideravamo creare un film comprensibile al grande pubblico, senza rinunciare all’autenticità. La scelta chiave divenne a che cosa rinunciare: non volevamo un film che spiegasse ogni cosa, ma che trasmettesse fedelmente l’emozione di una vera scoper ta scientifica. Una delle strategie con cui speravo di avvicinare il grande pubblico era enfatizzare i paralleli esistenti tra le frontiere della ricerca scientifica e l’arte, e molti dei nostri “attori” hanno colto questo legame. Verso la fine delle riprese uno degli “attori”, il fisico Savas Dimopoulos, disse: “Perché ci occupiamo di scienza? E di arte? Perché sono proprio le cose che non sono direttamente necessarie alla sopravvivenza che ci rendono umani!”. Fabiola Gianotti, invece, cita la Divina Commedia: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Scienza e conoscenza sono molto importanti, proprio come l’arte. Sono un bisogno dell’umanità. Alla fine spero che questo sarà il messaggio trasmesso da La particella di Dio.

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