Dietro le quinte dell’universo
Ipotesi sulla materia oscura

di Gianfranco Bertone

 

a.
La galassia in cui viviamo, la Via Lattea, è composta da un disco di stelle e gas, visibile nel cielo a occhio nudo come una striscia luminosa, e da grandi quantità di materia invisibile, la materia oscura, che ne supporta la struttura.
Se osservate il cielo da un luogo sufficientemente buio, la Via Lattea vi apparirà come una striscia di luce diffusa che attraversa tutto il firmamento. Realizzare che ciò che James Joyce chiamò “l’infinita lattiginosa via lattea scintillante” altro non è che il disco di stelle e gas della galassia in cui viviamo, visto “dal di dentro”, è una rivelazione che dà al cielo una nuova prospettiva e restituisce la giusta profondità a un cosmo che ci appare altrimenti schiacciato su un’immaginaria volta celeste.
Nella galassia in cui viviamo – la Via Lattea, appunto – c’è però, secondo la cosmologia moderna, molto più di quanto sia visibile a occhio nudo. Non solo c’è più materia di quanta se ne riesca a vedere anche con i nostri più potenti telescopi, ma, come sappiamo oggi, tale materia non è fatta di stelle, pianeti, comete, asteroidi o gas: è qualcosa di fondamentalmente diverso da qualunque altra sostanza sia mai stata osservata nei nostri laboratori. Viene chiamata materia oscura, perché non emette né assorbe luce, ma il nome è particolarmente appropriato per una sostanza la cui natura è avvolta nel mistero.
Ci volle del tempo prima che la comunità scientifica accettasse questa conclusione, ma dopo decenni di ricerche pioneristiche, alla fine degli anni ’70 le prove per l’esistenza della materia oscura diventarono praticamente inconfutabili. Alle misure disponibili allora, come le anomalie nelle velocità di rotazione di stelle e gas a grandi distanze dai centri galattici e l’inspiegabile velocità di galassie raggruppate in grandi ammassi, si aggiunge oggi l’analisi della cosiddetta radiazione cosmica di fondo, scoperta nel 1964 da Arno Penzias e Robert Wilson e misurata con straordinaria precisione da satelliti come Wmap della Nasa nel 2003 e, recentemente, Planck dell’Agenzia Spaziale Europea (vd. in Asimmetrie n. 15 Foto d'epoca, ndr). Come un iceberg di cui vediamo solo la punta (vd. in Asimmetrie n. 14 In sostanza fig. c, ndr), ma di cui intuiamo una parte sommersa attraverso l’applicazione delle leggi della fisica, l’universo che ci è familiare rappresenta solo una piccola parte, il 5% circa, della materia-energia complessiva. Identificare la natura del restante 22%, composto di materia oscura, e del 73%, composto di energia oscura (vd. ... che muove il Sole e l'altre stelle, ndr), è uno degli obiettivi centrali della cosmologia moderna.
Ma come si fa a cercare qualcosa di cui non si conosce nulla? Una delle idee più interessanti, e forse quella su cui si concentra maggiormente l’attenzione della comunità scientifica oggi, è che la materia oscura sia composta di un nuovo tipo di particelle elementari, chiamate genericamente Wimp (Weakly Interacting Massive Particles), cioè ‘particelle pesanti che interagiscono debolmente’. Le Wimp sono interessanti per diversi motivi: la loro esistenza è predetta da nuove teorie di fisica delle particelle – come ad esempio la supersimmetria – che cercano di spiegare ed estendere il modello standard della fisica delle particelle; possono essere prodotte facilmente nella giusta quantità pochi istanti dopo il Big Bang; e possono essere scoperte con una serie di esperimenti attivi oggi o nel prossimo futuro.

 

 
b.
I fisici teorici hanno proposto diversi possibili candidati a ricoprire il ruolo di materia oscura. Il grafico ne riporta alcuni, mostrando per ognuno di questi i possibili valori della massa, riportata sull’asse orizzontale, e della probabilità di interazione con la materia ordinaria, misurata dalla sezione d’urto, riportata sull’asse verticale. I candidati ricercati più attivamente sono le Wimp.
Tra questi esperimenti spiccano per dimensioni titaniche e potenziale interesse gli esperimenti Atlas e Cms del Large Hadron Collider (Lhc), grazie ai quali il bosone di Higgs è stato scoperto nel 2012. Se la materia oscura è composta da Wimp, potrebbe essere prodotta nelle collisioni tra i protoni accelerati ad altissime energie e fatti collidere al centro degli esperimenti Atlas e Cms. Tutte le particelle note lasciano una traccia nei sensori di questi due esperimenti, ma non le Wimp, che scomparirebbero senza lasciare traccia, portando via una parte dell’energia della collisione e manifestando così la loro presenza (vd. Cercasi Susy disperatamente, ndr).
Una seconda classe di esperimenti, detti di “rivelazione diretta”, ricercano l’energia depositata da particelle di materia oscura che penetrano in essi e collidono con i nuclei atomici al loro interno. Ci sono due grossi problemi però. Il primo è che le particelle di materia oscura interagiscono debolmente, quindi gli esperimenti devono essere molto sensibili e sufficientemente grandi da permettere di rivelare un numero di eventi statisticamente significativo. Il secondo è che tantissime particelle “ordinarie”, provenienti dallo spazio profondo, penetrano nel rivelatore attivandolo in continuazione. Per schermare questi raggi cosmici bisogna portare gli esperimenti in laboratori sotterranei, come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Attualmente decine di esperimenti sono in funzione, tra cui l’esperimento Dama (vd. in Asimmetrie n. 4 La luce di Dama, ndr), che ha osservato per la prima volta una modulazione annuale del numero di eventi rivelati, caratteristica aspettata per la materia oscura, in quanto la Terra, nel suo moto annuale di rivoluzione intorno al Sole, dovrebbe sperimentare un “vento” di particelle di materia oscura con intensità variabile con la velocità della Terra rispetto alla galassia. A partire da quest’anno, un esperimento di nuova generazione, Xenon1Ton, diventerà il più sensibile al mondo. Infine, la materia oscura può essere identificata in maniera “indiretta”, attraverso le particelle – ad esempio particelle di antimateria – prodotte da par ticolari interazioni dette di auto- annichilazione, in cui due par ticelle di materia oscura collidono, trasformando la loro massa in energia. Tra i risultati più interessanti finora ottenuti in questo settore, c’è la scoperta di un eccesso di raggi gamma, cioè di fotoni di altissima energia, osservato dal telescopio spaziale Fermi verso il centro della Galassia, che sembra avere le caratteristiche di un segnale di materia oscura, nonché il recente risultato di Ams-02 (vd. Notizie dalla stazione spaziale, ndr).
Oltre alle Wimp, molte altre soluzioni sono state proposte per spiegare la materia oscura. Ipotetiche particelle come assioni, neutrini sterili, particelle specchio e molte altre con nomi ancora più esotici popolano gli articoli scientifici (vd. fig. b), ricordando un po’ quegli antichi bestiari medievali popolati di creature mitologiche e immaginarie. Proprio come alcuni di quei “mostri” si rivelarono essere versioni, sia pur distorte, di animali reali, la scienza moderna cerca tra le particelle immaginate dai fisici teorici di tutto il mondo quelle che spiegherebbero il mistero della materia oscura nell’universo. E mentre ci inoltriamo in questo viaggio sospesi tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, impariamo ogni giorno qualcosa in più sulla struttura ed evoluzione dell’universo e sul ruolo che abbiamo in esso.
 

Biografia
Gianfranco Bertone è professore e coordinatore del centro di eccellenza in Astroparticelle e Gravitazione dell’Università di Amsterdam. È autore del libro Behind the Scenes of the Universe e dell’app Dark Matter disponibile su iTunes ad esso collegata.


Link
http://www.lescienze.it/topics/news/materia_oscura-711451/
http://www.lngs.infn.it/it/outreach-it/educational/materia-oscura
http://www.perimeterinstitute.ca/videos/behind-scenes-universe-higgs-dark-matter


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