Misteri sfuggenti
Massa e natura dei neutrini

di Carlo Giunti

 

a.
Clyde L. Cowan e Frederick Reines (da sinistra) con il rivelatore con cui hanno osservato per la prima volta un neutrino a Hanford (Washington) nel 1956.
I neutrini sono le particelle elementari conosciute più misteriose. Fanno parte delle particelle fondamentali del modello standard e le loro caratteristiche di interazione ne hanno determinato, storicamente, la formulazione, ma a tutt’oggi, ottantacinque anni dopo l’ipotesi di Wolfgang Pauli e cinquantanove anni dopo la prima osservazione sperimentale da parte di Clyde L. Cowan e Frederick Reines (vd. approfondimento), non si conoscono ancora alcune delle loro proprietà fondamentali: il valore delle masse, la loro natura (se si tratta di cosiddetti neutrini di Dirac o di Majorana) e il loro numero (cioè se ci sono dei neutrini non-interagenti detti sterili, in aggiunta ai tre neutrini interagenti conosciuti, elettronico, muonico e del tau, detti attivi). Ci sono inoltre buoni motivi per pensare che le caratteristiche sconosciute dei neutrini siano legate a una nuova fisica oltre il modello standard.
Una quantità di fondamentale importanza per ogni particella, come per ogni corpo, è la sua massa, che ne determina le proprietà di propagazione e interazione. Attualmente conosciamo il valore delle masse di tutte le particelle del modello standard eccetto dei neutrini, le cui masse sono talmente piccole, che fino a circa quindici anni fa non esisteva neanche una prova inconfutabile del fatto che la loro massa fosse non nulla. Questa prova è arrivata dall’osservazione dell’oscillazione dei neutrini, il mescolamento tra neutrini di diverso tipo (o sapore) che porta, ad esempio, alla trasformazione di un neutrino elettronico in muonico. Il fenomeno, proposto indipendentemente negli anni ’60 da Pontecorvo e da Ziro Maki, Masami Nakagawa e Shoichi Sakata, dipende dalla distanza percorsa dal neutrino, dalla sua energia e dalla differenza di massa.

 

 
[as] approfondimento
Storie di fantasmi
1.
Bruno Pontecorvo (a destra), uno dei famosi “ragazzi di Via Panisperna”, in una conversazione con il suo collaboratore Samoil Bilenky. Pontecorvo ipotizzò l’esistenza di un secondo tipo di neutrino nel 1960.

 

Nel 1930 Pauli propose l’esistenza del neutrino per spiegare il fatto che nei decadimenti nucleari dovuti all’interazione debole (che avvengono con tempi molto più lenti di quelli dovuti alle interazioni forte ed elettromagnetica) gli elettroni vengono emessi con uno spettro continuo di energia. Questo è possibile solamente se i prodotti finali del decadimento sono almeno tre: il nucleo finale, l’elettrone e un neutrino, che ha a lungo eluso i tentativi di osservazione, perché è elettricamente neutro e interagisce con la materia solamente attraverso le interazioni deboli (mentre particelle cariche come l’elettrone lasciano tracce nei rivelatori dovute alla ionizzazione degli atomi). L’ipotesi di Pauli permise la formulazione della teoria delle interazioni deboli da parte di Enrico Fermi nel 1934, che però prevedeva che le interazioni dei neutrini fossero talmente deboli che sarebbe stato molto difficile, e forse impossibile, verificare direttamente la loro esistenza. Per fortuna questa previsione pessimistica è stata smentita grazie al fatto che ci sono sorgenti di neutrini che ne producono un flusso enorme: ad esempio, un tipico reattore nucleare produce circa 1020 neutrini al secondo per ogni gigawatt di potenza termica e dal Sole ci arriva un flusso di circa 1011 neutrini al secondo per centimetro quadrato (circa la superficie di un’unghia). Perciò anche se la maggior parte dei neutrini attraversa un rivelatore come se fosse trasparente, dato l’enorme flusso di neutrini si possono osservare alcune interazioni che rivelano l’esistenza di queste particelle. Questa misura è stata fatta per la prima volta da Cowan e Reines nel 1956 utilizzando un rivelatore, posto vicino a un reattore nucleare.
La misura di Cowan e Reines ha stabilito definitivamente l’esistenza di un neutrino elettronico emesso insieme a un elettrone nei decadimenti nucleari che avvengono all’interno di un reattore. Nel frattempo però nel 1937 era stato scoperto il muone, che è una particella carica simile all’elettrone, ma circa 200 volte più pesante. Bruno Pontecorvo ipotizzò nel 1960 l’esistenza di un secondo tipo di neutrino che viene prodotto in associazione con un muone. Questa previsione è stata brillantemente confermata nel 1962 dall’esperimento di Leon Lederman, Melvin Schwartz e Jack Steinberger, che dimostrarono che i neutrini prodotti da interazioni deboli insieme a muoni non producono elettroni quando interagiscono con la materia, come farebbero invece i neutrini elettronici. Essi sono quindi delle particelle diverse, dette neutrini muonici. In seguito, è stato scoperto nel 1975 un terzo leptone carico chiamato tau, che è il fratello più pesante dell’elettrone e del muone (circa 17 volte più pesante del muone) e il corrispondente neutrino del tau è stato osservato nel 2000. Questo completa la lista dei tre neutrini conosciuti, che sono attivi nei processi di interazione debole che ne hanno permesso la rivelazione. Resta aperta la possibilità dell’esistenza di ulteriori tipi di neutrini, detti sterili, che non sono associati a una particella carica del modello standard.

 
Dalle misure di oscillazione conosciamo le differenze tra la massa di neutrini diversi. Queste sono piccolissime e, quindi, sappiamo che essi hanno una massa, ma non è ancora stato possibile misurarne il valore assoluto. Il limite superiore stabilito sperimentalmente è di circa 250 mila volte più piccolo della massa dell’elettrone, che è la particella di materia più leggera del modello standard a parte i neutrini. La piccolezza delle masse dei neutrini rispetto alle altre particelle del modello standard richiede una spiegazione, che però non può essere trovata in maniera naturale all’interno del modello standard stesso, perché richiederebbe l’imposizione di un vincolo artificialmente piccolo sui parametri del modello standard che determinano le masse dei neutrini. Si pensa invece che la piccolezza delle masse dei neutrini sia dovuta alla loro connessione con la nuova fisica, attraverso la proprietà dei neutrini di essere particelle di Majorana (cioè particelle che coincidono con la propria antiparticella) invece che particelle di Dirac, come invece i quark e i leptoni carichi (elettrone, muone e tau). Cerchiamo di capire meglio cosa significa.
Nel 1928 Paul Dirac formulò la teoria quanto-relativistica dei fermioni, come l’elettrone, che per questo motivo sono detti particelle di Dirac. Una caratteristica fondamentale di una particella di Dirac è che allo stato di particella (per esempio, l’elettrone, che ha una carica elettrica negativa) corrisponde sempre uno stato di antiparticella con carica elettrica opposta (il positrone nel caso dell’elettrone, che ha una carica elettrica positiva). I quark e i leptoni carichi (elettrone, muone e tau) sono particelle di Dirac, mentre per i neutrini (che sono neutri) esiste la possibilità che siano particelle di Majorana, secondo la teoria sviluppata nel 1937 da Ettore Majorana. Per le particelle di Majorana lo stato di particella coincide con quello di antiparticella. Ciò è possibile solamente per particelle neutre come i neutrini, mentre per particelle cariche gli stati di particella e antiparticella sono necessariamente distinti avendo questi carica elettrica opposta.
Nell’ambito del modello standard i neutrini massivi possono essere solamente particelle di Dirac, perché il meccanismo di Higgs che dà massa alle particelle può farlo solamente per particelle di Dirac. È per questo motivo che risulta estremamente interessante determinare sperimentalmente se i neutrini massivi sono particelle di Majorana, perché in questo caso le masse dei neutrini devono essere generate da un meccanismo di nuova fisica. Inoltre, se i neutrini sono particelle di Majorana, è possibile spiegare la piccolezza delle loro masse con il meccanismo di see-saw (o ad altalena) che si basa sull’esistenza di una nuova fisica oltre il modello standard a una scala di energia molto grande, che può essere ad esempio la scala della teoria della grande unificazione (Gut) della forza forte con quelle elettrodeboli, ovvero dell’ordine dei 1015-1016 GeV, estremamente più alta della scala elettrodebole di energia, che è dell’ordine di 100 GeV, dove si verifica l’unificazione delle interazioni elettromagnetica e debole del modello standard. Secondo il meccanismo di see-saw (vd. fig. b) le masse dei neutrini sono proporzionali al rapporto tra il quadrato della scala di energia elettrodebole e la scala di energia Gut, il quale vale circa un centesimo di eV (10-2 eV), proprio il valore atteso per le masse dei neutrini.
Se i neutrini sono particelle di Majorana, quindi, le loro masse stabiliscono un legame tra la fisica del modello standard e la nuova fisica.
Gli esperimenti che sono più sensibili alle piccole masse di neutrini di Majorana sono quelli che cercano di misurare un processo estremamente raro chiamato doppio decadimento beta senza neutrini (vd. in Asimmetrie n. 15 Assenti giustificati, ndr) di alcuni nuclei pesanti, come ad esempio gli isotopi del germanio e del tellurio, utilizzati negli esperimenti Gerda e Cuore nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn.
 
b.
Illustrazione del meccanismo di see-saw (o dell’altalena): più grande (pesante) è la scala di energia della fisica oltre il modello standard (100 GeV), rappresentata dall’elefante (come ad esempio la scala di energia della grande unificazione pari a 1015 GeV) e più piccole (leggere) sono le masse dei neutrini di Majorana (rappresentati dal topolino). Nel caso della scala di energia della grande unificazione, la massa del neutrino di Majorana sarebbe pari a 10-11 GeV.
 
c.
Un ricercatore al lavoro sull’esperimento Cuore nei Laboratori Infn del Gran Sasso.
 
C’è anche la possibilità che la nuova fisica si manifesti con nuove particelle molto leggere che, essendo neutre e non interagenti con la forza debole del modello standard, ci appaiono come neutrini sterili (nome inventato da Pontecorvo nel 1967). In questo caso i tre neutrini attivi, che “rispondono” all’interazione debole, attraverso la quale vengono prodotti e rivelati dai fisici, possono oscillare in neutrini sterili, che eludono la capacità di rivelazione sperimentale. Questo fenomeno potrebbe spiegare recenti indicazioni di una mancata rivelazione del flusso misurato di neutrini prodotti in reattori nucleari e in sorgenti radioattive. L’esperimento Sox, che utilizza il rivelatore Borexino ai Laboratori del Gran Sasso, controllerà nei prossimi anni la correttezza di queste indicazioni utilizzando sorgenti radioattive di neutrini. È chiaro che questa misura è di estrema importanza per lo studio della fisica oltre il modello standard, perché un risultato positivo darebbe informazioni dirette sull’esistenza di una nuova particella, il neutrino sterile, che non appartiene al modello standard e la cui piccola massa deve essere generata da un meccanismo di nuova fisica.
Lo studio delle proprietà dei neutrini, uniche tra quelle delle particelle del modello standard, offre una finestra sulla nuova fisica che è difficile aprire a causa dell’elusività dei neutrini, ma l’inventiva e la tenacia dei fisici fanno ben sperare per il futuro prossimo.
 

Biografia
Carlo Giunti è ricercatore dell’Infn presso la sezione di Torino. La sua attività di ricerca riguarda principalmente la fisica dei neutrini, sui quali ha scritto il libro specialistico Fundamentals of Neutrino Physics and Astrophysics (Oxford University Press, 2007).


Link
http://www.nu.to.infn.it/
http://www.hep.anl.gov/ndk/hypertext/
http://pcbat1.mi.infn.it/~battist/cgi-bin/oscil/index.r


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