Un mondo indeterminato
Le relazioni di Heisenberg

di Antonio Davide Polosa

“Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita”, disse Feynman durante un’intervista riferendosi alla meccanica quantistica che, sviluppata verso la fine degli anni ’20 del secolo scorso, sancisce una radicale rottura rispetto alle leggi della meccanica classica. Il principio di indeterminazione ne è uno dei cardini e mette in discussione il concetto stesso di misura di una grandezza fisica.
Il fine di una teoria fisica è quello di fornire predizioni quantitative sui risultati di nuovi esperimenti in base a quanto osservato e misurato in esperimenti precedenti. Quando si effettuano delle misure su un sistema fisico, si agisce sullo stato in cui il sistema si trovava prima che lo si misurasse e se ne determina lo stato successivo. L’esperienza porterebbe a pensare che non vi sia alcuna distinzione fra questi due momenti: se misuriamo la lunghezza di un tavolo con un metro è noto che la lunghezza del tavolo non verrà alterata in conseguenza dell’uso che facciamo del metro. Tuttavia, quando si misurano grandezze relative a una particella, per esempio un elettrone, le cose vanno diversamente. Supponiamo di volerne misurare la posizione: dove si trova l’elettrone a un dato istante di tempo? Si può usare della luce per illuminarlo e, dalla luce diffusa, risalire alla sua posizione. Supponiamo di ricavare la posizione in modo molto preciso, ovvero con un’incertezza molto piccola sulle coordinate spaziali. Tanto più è grande la precisione ottenuta sulle coordinate, tanto più l’interazione con la luce deve aver alterato lo stato di moto dell’elettrone, al punto che, nello stesso istante di tempo in cui prendiamo nota delle coordinate, non possiamo dire nulla di preciso sulla sua quantità di moto. Quindi, l’atto della misura permette di risalire alla posizione, ma causa un cambiamento nello stato di moto dell’elettrone in un modo che, in linea di principio, è impossibile determinare. Al contrario, se si sa tutto della quantità di moto, si perde ogni precisione sulla posizione. Questo è il contenuto del principio di indeterminazione (o relazione di indeterminazione fra posizione e quantità di moto) formulato da Werner Heisenberg nel 1927, già implicito in un suo lavoro di due anni prima e conseguenza naturale delle ipotesi alla base della meccanica ondulatoria. In termini matematici, il prodotto delle incertezze su posizione (∆x) e quantità di moto (∆p) è dell’ordine della costante di Planck ħ (vd. la disuguaglianza a destra nella foto).

 
a.
Werner Heisenberg, il padre delle relazioni di indeterminazione.

 
Vi è un’altra fondamentale relazione di indeterminazione nella teoria dei quanti, che va sotto il nome di relazione di indeterminazione tempo-energia, riguardante la misura dell’energia effettuata con un qualche apparato. L’apparato di misura e il sistema fisico (per esempio, l’elettrone) vengono messi a contatto (in interazione) a un certo istante di tempo. Supponendo che la somma delle energie dell’apparato di misura e dell’elettrone sia misurabile con assoluta precisione, si effettua la stessa misura a un istante di tempo successivo. Si trova così che la conservazione dell’energia, valida sempre in fisica classica (vd. approfondimento in L'alfabeto della natura, ndr), nella fisica quantistica può essere verificata solo entro un certo livello di accuratezza. Più precisamente, risulta che il valore più probabile della differenza fra l’energia iniziale e l’energia finale (∆E) è proporzionale al rapporto tra ħ e l’intervallo di tempo trascorso tra una misura e quella successiva (vd. la disuguaglianza a sinistra nella foto di sopra). Quindi anche il prodotto fra ∆E e ∆t è dell’ordine della costante di Planck.
Nel caso di una particella instabile, la relazione di indeterminazione tempo-energia ha una implicazione rilevante sulla misura della massa della particella. Se la vita media di questa particella è molto breve, non c’è tempo sufficiente per misurarne direttamente la massa, che può tuttavia essere determinata sommando l’energia di tutte le particelle prodotte nel decadimento.
Anche se si potesse misurare con altissima precisione l’energia di tutte le particelle prodotte nel decadimento, poiché la misura avviene entro un tempo dell’ordine della vita media della particella, essa non corrisponderebbe esattamente alla massa originale. Il valore della massa della particella di partenza è dato da una distribuzione di probabilità a forma di campana (detta curva di risonanza) tanto più larga, quanto più breve è la vita media della particella.
Una delle conseguenze del principio di indeterminazione a cui si fa spesso riferimento è che ogni processo di misura va ad alterare la grandezza che si vuole misurare, per cui questa misura non può essere riproducibile. Questo punto fu sviluppato nel 1928 da Niels Bohr. Se si cerca di misurare con un esperimento ideale, ma concettualmente “completo”, la quantità di moto di una particella con una certa precisione, è inevitabile variare la velocità (e quindi la stessa quantità di moto) di una quantità che è tanto maggiore quanto più piccola è la durata del processo di misura e quanto maggiore è la precisione sulla quantità di moto che si vuole ottenere: il processo di misura modifica la grandezza che viene misurata!
Se la variazione della velocità della particella potesse essere grande a piacimento, si riuscirebbe comunque, a un dato istante, a conoscere la quantità di moto con una precisione arbitrariamente piccola. Tuttavia, quando si esplorano fenomeni fisici in cui bisogna tenere conto della relativita ̀speciale, come fu osservato da Lev Landau e Rudolf Peierls già nel 1931, questo non è più vero: per la relatività speciale c’è un limite per la variazione della velocità dato dalla velocità della luce (che è circa 300.000 km/s) e quindi la quantità di moto non è comunque misurabile con una precisione arbitrariamente piccola.
 
b.
Bohr e Landau intenti in una conversazione nell’Istituto per i Problemi Fisici dell’Accademia delle Scienze russa, a Mosca, negli anni ’60.
 
Qualcosa di analogo succede, se si vuole misurare la posizione con una precisione arbitraria: neanche la posizione è misurabile con una precisione arbitrariamente piccola. Infine, portiamo alle estreme conseguenze i ragionamenti sulla relazione tempo-energia. Un elettrone libero non può emettere un fotone, per via della conservazione dell’energia, dato che inizialmente l’energia dell’elettrone corrisponde alla sua massa, mentre nello stato finale ad essa si deve sommare anche l’energia del fotone. Tuttavia, la teoria dei quanti permette l’esistenza temporanea di stati, come il fotone emesso, in violazione (temporanea) della conservazione dell’energia. Un processo che avviene esclusivamente per via di una violazione temporanea della conservazione dell’energia viene chiamato virtuale. Se non ci fossero altri elettroni vicini, il fotone emesso sarebbe riassorbito rapidamente dall’elettrone emettitore. D’altra parte, se effettuassimo delle misure su un singolo elettrone, non saremmo in grado di dire se ha emesso e assorbito o meno uno o più fotoni. Questo vuol dire che la massa che osserviamo sperimentalmente non può essere la massa “nuda” (quella di un elettrone spogliato di tutti i processi virtuali), che resta quindi un parametro inaccessibile sperimentalmente. Se vicino all’elettrone emettitore vi fosse invece un altro elettrone, il fotone emesso da uno potrebbe essere immediatamente riassorbito dall’altro, mettendo a posto, complessivamente, il bilancio energetico. Questo scambio è alla base della descrizione quantistica dell’interazione fra due elettroni. Tuttavia il fotone virtuale, scambiato fra i due elettroni, potrebbe trasformarsi temporaneamente in una coppia elettrone- antielettrone. Questo tipo di processo virtuale porta a concludere che anche la carica elettrica “nuda”, come la massa, non è una quantità sperimentalmente accessibile. Negli anni, si è imparato a calcolare e misurare le conseguenze dei processi virtuali che sono alla base della conoscenza della fisica dei processi elementari.
 

Biografia
Antonio Davide Polosa è professore presso la Sapienza, Università di Roma. È stato ricercatore Infn a Roma dal 2005 al 2010 e precedentemente post-doc al Cern, al Lapp-Th di Annecy e all’Università di Helsinki.


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