Tutto in una
La lagrangiana del modello standard
di Riccardo Barbieri
a.
La lagrangiana del modello standard stampata sulla maglietta del fisico teorico britannico John Ellis.
La fisica delle particelle è un quadrante della natura, le cui leggi si possono scrivere in poche righe con precisione e con assoluta aderenza alla realtà empirica. Alla base di questa affermazione sta la lagrangiana del modello standard, divenuta così popolare dopo la scoperta del bosone di Higgs nel luglio 2012, da comparire sulle t-shirt di qualche fisico e non solo (vd. fig. a). Queste quattro linee, concise ma precise al tempo stesso, contengono le equazioni che determinano il comportamento dei costituenti di tutta la materia, sia se osservata nell’esperienza quotidiana che se prodotta nell’universo primordiale caldo o nelle collisioni fra particelle di altissima energia. Un fatto sorprendente forse, alla luce della complessità delle manifestazioni della materia ai vari livelli, dalla chimica fino alla biologia, ma assolutamente vero. La lagrangiana del modello standard affonda le sue radici nella metà dell’800, nelle equazioni di Maxwell (vd. Campi di luce), si basa sia sulla relatività speciale (vd. Creare materia) che sulla meccanica quantistica (vd. Un mondo indeterminato) e assume la sua forma attuale, quella rappresentata nella t-shirt, negli anni sessanta del ’900, soprattutto, ma non solo, grazie ai contributi di Abdus Salam, Shelley Glashow e Steven Weinberg, premiati con il premio Nobel nel 1979. La forma della lagrangiana alla fine degli anni sessanta era quella giusta, ma la sostanza doveva completarsi nei primi anni settanta. Da allora la lagrangiana del modello standard non è più cambiata e ha ricevuto una progressione di conferme sperimentali impressionanti per estensione e precisione.
I protagonisti della lagrangiana del modello standard sono i campi, più fondamentali delle particelle dopo l’affermarsi del principio di indeterminazione di Heisenberg (vd. Un mondo indeterminato) nella seconda metà degli anni venti del ’900. I campi sono quantità di vario genere con valori assegnati in ogni punto dello spazio e del tempo, mentre le particelle (l’elettrone, il fotone, ecc.) sono vibrazioni localizzate dei corrispondenti campi (il campo dell’elettrone, il campo elettromagnetico nel caso del fotone, ecc.), simili alle onde di un lago altrimenti calmo. Nella prima riga della lagrangiana, e implicitamente anche nella seconda, compaiono i campi dei mediatori delle interazioni elettromagnetiche (il fotone, “scoperto” da Einstein nel 1905), delle interazioni deboli (i bosoni W e Z, la cui scoperta valse il premio Nobel a Carlo Rubbia e Simon van der Meer) e delle interazioni forti (i gluoni, rivelati nel laboratorio Desy ad Amburgo alla fine degli anni settanta). Nella seconda e nella terza riga della lagrangiana intervengono i costituenti veri e propri della materia, denotati globalmente con la lettera greca Ψ: l’elettrone, il neutrino e i due quark, up e down, che sono i principali componenti del protone e del neutrone. In realtà, nella terza riga, il campo Ψ porta un indice “i” o “j”, a ricordare che i campi di materia esistono in tre repliche, dunque “i, j” da 1 a 3, con interazioni identiche fra loro ma con masse diverse. È nell’universo primordiale (vd. Hot stories) che le repliche più pesanti, inizialmente scoperte nei raggi cosmici (il muone e il quark strange) e prodotte artificialmente negli acceleratori di alta energia (il leptone tau e i quark top, bottom e charm), vivono democraticamente insieme alla prima, quella di cui siamo fatti anche noi (l’elettrone e i quark up e down).
Sheldon Lee Glashow (Usa), Abdus Salam (Pakistan) e Steven Weinberg (Usa) durante la cerimonia di consegna del premio Nobel a Stoccolma nel 1979.
Volendo tentarne una descrizione sintetica, si comincia con la previsione dell’esistenza di una nuova forza, oltre l’elettromagnetismo e le interazioni responsabili della radioattività: la forza mediata dal bosone Z, puntualmente rivelata nel 1973-74 al Cern con un importante contributo italiano. Si continua con l’emergere, una a una, di tutte le particelle previste dal modello standard, a partire dal quark charm, scoperto nel 1974 allo Slac a Stanford e al Bnl a Brookhaven, due laboratori negli Stati Uniti. Si rende quantitativamente manifesta la proprietà dei quark di interagire sempre più debolmente quanto più sono visti da vicino. Si verifica a varie distanze e con notevole precisione la coerenza cosiddetta “quantistica” della teoria in tutti i suoi settori, oltre quello della Qed, pure inclusa nel modello standard (vd. in L'alfabeto della natura). Da ultimo, ma certo non da meno, si evidenzia la proporzionalità diretta fra le masse delle particelle (per ora quelle più pesanti) e il loro accoppiamento con il bosone di Higgs distribuito uniformemente nello spaziotempo (vd. fig. c). Le leggi fisiche, per loro intrinseca natura, non sono mai definitive. Dunque molti si chiedono, anche per buone ragioni, se e come la lagrangiana del modello standard possa essere superata. Per il momento resiste. Modello standard o “teoria standard”, dunque?
Secondo il modello standard la massa delle particelle è determinata dal loro accoppiamento con il bosone di Higgs. In questo grafico sono riportati gli accoppiamenti di alcune particelle con l’Higgs, misurati in Lhc in funzione della loro massa. La linea tratteggiata rappresenta la predizione del modello standard.
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