a.
L’equazione della relatività generale, dipinta da un anonimo autore su una locomotiva abbandonata a Uyuni, nella regione di Potosì in Bolivia.
Cento anni fa, nel novembre 1915, in quattro lezioni all’Accademia delle Scienze, Einstein presentava la sua teoria della relatività generale. Era il frutto di dieci anni di studi, in cui il celebre scienziato cercava di raccordare la sua teoria della relatività speciale (vd. Creare materia, ndr) con la teoria della gravitazione universale di Newton.
L’equazione alla base della nuova teoria, chiamata anche equazione di campo di Einstein, dipinta da un anonimo autore su una locomotiva abbandonata nel deserto di Atacama nel Cile (vd. fig. a), si basa sul principio di equivalenza (vd. in Asimmetrie n. 14 In caduta libera, ndr). Questo principio è un esempio particolare di simmetria locale. La proporzionalità tra massa gravitazionale e inerziale, infatti, fa sì che per un osservatore all’interno di una cabina in caduta libera la forza gravitazionale sia cancellata. Tuttavia, ciò non è vero in assoluto, se si tiene conto del fatto che il campo gravitazionale non è uniforme. Infatti, l’enunciato completo del principio di equivalenza fa riferimento a corpi di piccola estensione, tali che effetti legati ai gradienti gravitazionali interni ed esterni ad essi possano essere trascurati. In breve, la località di questo principio è una conseguenza della dipendenza dalla distanza dal campo gravitazionale.
In fig. b è riportato il diagramma spazio-temporale di un corpo che si muove in assenza di forze e quello dello stesso corpo che cade in un campo gravitazionale uniforme. Si deduce immediatamente che in assenza di forze il corpo traccia linee rette nello spaziotempo, mentre la gravità curva queste linee. Ciò spinse Einstein a rappresentare l’interazione gravitazionale attraverso le caratteristiche geometriche delle linee dello spaziotempo descritte dai corpi, che non costituiscono più un reticolato rigido di rette, ma sono un insieme di linee che si curvano in funzione della distribuzione della materia. Cerchiamo di capire meglio l’equazione di campo di Einstein. La grandezza che permette di calcolare la distanza tra punti in uno spaziotempo curvo e, quindi, esprime in termini matematici le proprietà geometriche dello spaziotempo è il tensore metrico, una matrice di 4 per 4 componenti.
Ciascun termine della matrice si può indicare con
gμν, dove gli indici μ e ν vanno da 1 a 4 e rappresentano le coordinate dello spaziotempo. I termini
gμν, in un sistema di riferimento qualsiasi, possono assumere valori diversi da punto a punto. Questo è la conseguenza del principio di località su cui si fonda l’equazione della relatività generale. A sinistra del segno di uguaglianza, oltre a
gμν, compare
Rμν, una matrice che rappresenta la curvatura dello spaziotempo e che dipende dalle derivate seconde del tensore metrico
gμν. A destra, l’altra matrice
Tμν rappresenta la sorgente dell’interazione gravitazionale. Per Einstein questa sorgente non è soltanto la densità della materia, ma anche la densità e il flusso dell’impulso e dell’energia della materia stessa, ovvero il suo stato di moto.
Tμν rappresenta quindi il tensore energia-impulso della meccanica relativistica. Il coefficiente che moltiplica la matrice sorgente ci informa su quanto sia debole l’effetto della gravità sulla geometria dello spaziotempo: una significativa curvatura dello spaziotempo si ottiene quando entrano in gioco forze che compensano il piccolissimo fattore
G/
c4. In senso figurato, si usa dire che la materia e il suo stato di moto (
Tμν) determinano la struttura locale delle linee dello spaziotempo (
Rμν e quindi
gμν), che a loro volta determinano lo stato di moto della materia. In termini più propriamente matematici, la formula scritta a caratteri cubitali sulla locomotiva della foto rappresenta un sistema di equazioni accoppiate non lineari, la cui soluzione in genere è ricavabile solo per via numerica. La gravitazione di Einstein descrive fenomeni non previsti dalla teoria di Newton e in particolare apre il nuovo capitolo della
gravitodinamica. Partendo da questa equazione, il 22 giugno del 1916 lo stesso Einstein presentò all’Accademia prussiana come si trasforma questa equazione nell’ipotesi di una piccola perturbazione di uno spaziotempo, in cui la gravità sia assente. Ricavò così la ben più nota
equazione delle onde di D’Alembert, che rappresenta la propagazione della perturbazione: si tratta della prima e completa teorizzazione dell’esistenza di
onde gravitazionali (perturbazioni dello spaziotempo). Tuttavia, occorre attendere i lavori di Bondi e Pirani della fine degli anni cinquanta per avere un’analisi rigorosa dell’effetto prodotto da un’onda su masse liberamente gravitanti. In essi si dimostra che questo effetto è osservabile ed è su queste basi che Jo Weber raccolse la sfida di costruire il primo rivelatore di onde gravitazionali (vd. anche in Asimmetrie n. 5
Suonando e risuonando, ndr). Egli potrebbe aver incontrato Edoardo Amaldi alla Scuola Internazionale “Enrico Fermi” di Varenna nell’estate del 1961 stimolandone l’interesse. Amaldi dette impulso alla ricerca sui rivelatori di onde gravitazionali in Italia, che poi si è sviluppata in tutti questi anni nell’Infn, esplorando diverse strategie di misura che hanno portato oggi alla realizzazione dell’attuale interferometro Virgo (vd. in Asimmetrie n. 5
A braccia aperte e in Asimmetrie n. 15
La sfida di Lisa nello spazio, ndr). Nella sua configurazione iniziale, pur non rivelando nessun segnale gravitazionale, Virgo ha già ottenuto significativi risultati scientifici, ad esempio ponendo limiti a una vasta categoria di modelli cosmologici basati sulla teoria delle stringhe (vd. in Asimmetrie n. 17
Il tempo prima del tempo) o deducendo i limiti superiori di deformazione dalla forma sferica di alcune stelle pulsar (in pratica, un limite sull’altezza delle montagne presenti sulla stella di neutroni).
Ma la sfida sperimentale per la prima rivelazione continuerà con Advanced Virgo (Adv). Il nuovo interferometro è progettato per ottenere una sensibilità di circa un ordine di grandezza superiore a quella di Virgo: ciò corrisponde a un aumento di circa tre ordini di grandezza del tasso di segnali gravitazionali emessi nella fase finale della vita di un sistema di due stelle di neutroni che, spiraleggiando l’una attorno all’altra, finiscono per collidere. Esso è uno dei tre rivelatori della rete internazionale di cui sono parte integrante i due analoghi interferometri del progetto Ligo negli Stati Uniti d’America. Advanced Virgo è ora nella fase di integrazione dei suoi componenti fondamentali, realizzati nei laboratori dell’Infn, del Cnrs e di Nikhef. Adv ha una configurazione ottica diversa da Virgo e dei nuovi specchi. Per ridurre l’impatto del rumore termico e le fluttuazioni della pressione di radiazione, la massa degli specchi è ora di 42 kg rispetto ai 22 kg di quelli di Virgo ed è stata aumentata la dimensione del fascio luminoso che vi incide. Pertanto, a differenza di Virgo, la sezione più stretta del fascio luminoso nelle cavità principali sarà posizionata vicino al centro delle cavità Fabry-Perot di 3 km di lunghezza. Specchi più pesanti e fasci luminosi che investono una porzione più vasta della loro superficie hanno richiesto un grande sforzo tecnologico, che ha portato allo sviluppo di nuove macchine di deposizione di film sottili, sospensioni degli specchi più performanti, connessioni da vuoto più grandi nella zona centrale e nuovi telescopi ottici all’ingresso e all’uscita dell’interferometro, il cui allineamento è un’ulteriore sfida sperimentale. La fase di integrazione è ormai prossima alla conclusione: la rete dei rivelatori Ligo/Advanced Virgo sarà completata nel 2016 con l’obiettivo dichiarato di rivelare il primo segnale di onde gravitazionali prima della fine di questo decennio e dare così un’ulteriore conferma sperimentale della relatività generale di Einstein.