Magneti dal superfreddo
La macchina che spinge al limite le tecnologie.
di Lucio Rossi
Nella corsa a “vedere”dettagli sempre più fini della materia, il Large Hadron Collider è oggi la macchina più veloce: il limite tecnologico estremo raggiunto dalla comunità scientifica fino a oggi.
Lhc si comporta come un potentissimo microscopio in grado di evidenziare dettagli dell’ordine della lunghezza d’onda associata alle particelle accelerate: per energie dell’ordine del teraelettronvolt (TeV), come quelle raggiunte in Lhc, la lunghezza d’onda delle particelle accelerate è pari a un miliardesimo di nanometro (10-18 m), un attometro. Lhc è dunque, più che un microscopio, il primo “attoscopio” mai realizzato.
Da un punto di vista complementare Lhc può essere visto come una macchina del tempo, poiché le condizioni che si possono creare al suo interno nelle collisioni tra le particelle, erano presenti solo negli istanti iniziali dopo il Big Bang.
L’energia, quindi, è il parametro primario e in un acceleratore circolare come Lhc essa dipende dal raggio dell’anello e dal campo magnetico prodotto per mantenere le particelle lungo la traiettoria circolare.
Le bobine superconduttive dei dipoli di Lhc in fase di produzione presso Ansaldo Superconduttori Genova (ASG- Gruppo Malacalza).
Per ottenere campi magnetici sufficientemente elevati si è reso necessario l’uso di materiali e tecnologie sofisticate per la conduzione efficace della corrente elettrica. L’utilizzo della superconduttività, in particolare, ha permesso di raggiungere energie elevatissime con impianti giganteschi ma possibili: Lhc ha una circonferenza di 27 km e una potenza di 50 megawatt, ma se fosse realizzato con tecnologie classiche richiederebbe un tunnel di 90-100 km e 1.000 megawatt di potenza per funzionare!
I magneti di Lhc hanno la caratteristica di essere raffreddati con elio superfluido alla temperatura di 1,9 kelvin (- 271,1 °C); ogni magnete, quindi, è ermeticamente chiuso per contenere il prezioso fluido. Il cuore di un magnete superconduttore è costituito dai cavi superconduttori, avvolti in bobine, che al passaggio della corrente elettrica generano il campo magnetico. Una coppia di bobine (dipolo superconduttivo) fornisce il campo magnetico necessario a piegare i fasci per costringerli su una traiettoria circolare.
Lhc è dotato di 1.232 magneti di dipolo che, con i loro 15 m e più di lunghezza, occupano oltre i due terzi del tunnel e determinano l’energia di tutta la macchina. Producono in media un campo magnetico di 8,3 tesla, circa 200.000 volte più intenso del campo magnetico terrestre, e un campo massimo teorico stimato intorno a 9,7 tesla (questo margine è necessario per operare in condizioni stabili). Per assicurarne la stabilità meccanica, i cavi superconduttori sono alloggiati in una cavità a forma di arco romano ritagliata su misura con grande precisione e la loro posizione deve essere controllata con un’accuratezza di 30 micron sull’intera lunghezza. Questo parametro è stato tenuto sotto controllo nel corso di tutta la costruzione con sofisticate misure magnetiche integrate nel ciclo di fabbricazione; oltre a verificare la geometria di costruzione, tali misure hanno permesso di identificare i difetti di costruzione inosservati durante i diversi passi di controllo qualità o invisibili con misure meccaniche o elettriche.
Produzione dei dipoli magnetici in industria: fase di chiusura del recipiente a elio nella stazione di saldatura dei dipoli. La saldatura è completamente automatica: è effettuata sotto pressa (struttura blu) e guidata da tecnici saldatori (a sinistra, ai loro computer) tramite software di gestione.
Operazioni nel tunnel di Lhc: chiusura con saldatura delle interconnessioni tra due dipoli (cilindro blu). A sinistra è visibile la linea di distribuzione criogenica (cilindri bianchi) che corre lungo i 27 km a fianco dai magneti.
La cavità che alloggia le bobine è formata dai collari, laminazioni di un particolare acciaio inox di grande qualità, detto austenitico, tale da non diventare magnetico neanche a basse temperature. Oltre ad assicurare la precisione voluta, i collari devono sostenere gli sforzi elettromagnetici. Il campo magnetico, infatti, genera una pressione di circa 400 atmosfere, corrispondente a una forza di circa 4 meganewton (pari al peso di un corpo di 400 tonnellate) per ogni metro di lunghezza: una forza simile potrebbe anche indurre le bobine ad aprirsi. Anche il più piccolo movimento, tuttavia, deve essere impedito per evitare ogni causa di dissipazione di energia. Alle temperature di operazione di 1,9 gradi kelvin, infatti, è sufficiente un millijoule di energia rilasciata (l’energia acquisita da una massa di un grammo dopo una caduta libera di dieci centimetri) per fare transire il cavo superconduttore, facendogli perdere le peculiari caratteristiche e portandolo a dissipare per effetto Ohm come un qualsiasi conduttore. Questo fenomeno di improvviso ritorno dallo stato superconduttore allo stato normale viene chiamato quench.
Il design del magnete è fatto in modo da evitare il quench incrementando la stabilità del cavo. Nonostante i diversi accorgimenti, tuttavia, il quench non è raro nei magneti di tipo dipolare. Essi devono essere così protetti da pericolosi eccessi di tensione elettrica e danneggiamenti meccanici dovuti alle variazioni brusche e non omogenee di temperatura. Il quench deve essere individuato nel tempo massimo di 0,01 secondi e il segnale, di pochi millivolt, deve essere distinto dal rumore elettrico di fondo. Una volta scoperto il quench, è necessario azionare i riscaldatori inseriti nelle bobine e scaricare l’energia, ossia la corrente, del magnete. Un ritardo anche di soli 0,1 secondi può essere fatale per il magnete.
Quasi tutti i grandi magneti sono stati costruiti dall’industria europea: il Cern ha fornito i principali componenti e il prezioso cavo superconduttore, fino ai collari e il giogo in ferro dolce. Lo sforzo logistico per la loro collocazione è stato impressionante: complessivamente, sono state consegnate, ispezionate e collaudate circa 150.000 tonnellate di materiale ad alta tecnologia. Questo materiale ha quindi viaggiato per l’Europa impegnando in media dieci grandi trasporti al giorno per cinque anni. Dopo essere stati consegnati al Cern, i magneti sono stati inseriti nel loro alloggiamento criogenico e collaudati singolarmente in condizioni operative (a 1,9 gradi kelvin di temperatura e 8,3 tesla di campo magnetico). Per stabilire la qualità del campo magnetico, inoltre, sono state condotte misure magnetiche in condizioni operative su circa il 10% dei magneti.
Tutti i magneti sono stati quindi installati nella macchina e interconnessi per formare gli otto settori, lunghi 3,3 km ciascuno, che formano Lhc.
Il collaudo della macchina, incluso il test d’iniezione e circolazione dei fasci di protoni, avvenuto con esito positivo il 10 settembre scorso, sembrava coronare un successo che ha percorso tutto il 2008. Tuttavia, proprio al termine della prima fase del collaudo, a un’energia di 5 TeV, un difetto elettrico in una interconnessione ha causato un grave incidente. La connessione era caratterizzata da una resistenza di quattrocento volte superiore a quella prevista. In queste condizioni, la dissipazione di energia a circa 8.700 ampère di corrente è diventata insostenibile per il sistema di raffreddamento e una deriva termica molto rapida ha causato la fusione della connessione stessa, con la conseguente generazione di un arco elettrico, una scarica elettrica persistente. La potenza dell’arco, mantenuto dall’enorme energia magnetica immagazzinata nella catena di magneti, pari a 600 megajoule, ha fuso la camicia di acciaio che racchiudeva la connessione e che conteneva l’elio superfluido: l’elio si è così riversato in grande quantità nel criostato, all’interno del quale è vaporizzato in breve tempo causando un rapido aumento di pressione, ben oltre i valori controllabili previsti in fase di progetto. Nonostante ogni dipolo abbia una massa di 30 tonnellate, la crescita incontrollata di pressione ha causato lo spostamento di numerosi magneti, provocando un danno meccanico di notevole entità.
L’incidente mostra la complessità tecnologica della macchina e le difficoltà che si incontrano nel tentativo di prevedere ogni possibile inconveniente. Ha costretto a rivedere criticamente due aspetti della macchina: l’uno è il sistema di protezione elettrico, la cui sensibilità sarà migliorata di circa 1.000 volte in modo da rivelare i precursori di guasti e quindi evitarli; il secondo è il meccanismo di scarico dell’elio dal criostato. Non solo il numero delle valvole di scarico dovrà essere aumentato di molto, ma dovrà essere drasticamente aumentata la capacità di sfogo verso di esse per evitare ogni sovrapressione. Lhc è ora in corso di riparazione: i circa 60 magneti coinvolti devono essere riparati o controllati nuovamente. Inoltre, le modifiche dei sistemi di sicurezza devono essere applicate lungo tutta la macchina. Conseguentemente i tempi di riparazione sono valutati in diversi mesi e la messa in servizio è prevista ora per l’autunno 2009.
Neutroni in volo
Biografia
Lucio Rossi è professore in congedo all’Università di Milano e dal 2001 è responsabile al Cern del gruppo in carica dei superconduttori e dei magneti per Lhc. È stato responsabile dei primi dipoli superconduttori (collaborazione Cern-Infn), del superconduttore e delle bobine del toroide per l’esperimento Atlas.
Link
http://public.web.cern.ch/public/en/Research/Accelerator-en.html
http://public.web.cern.ch/public/en/LHC/HowLHC-en.html
http://outreach.web.cern.ch/outreach/expos_cern/microcosm.html
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