Lhc: tutto all'estremo
Come la più numerosa comunità di fisici realizza la più grande impresa scientifica della storia.
di Umberto Dosselli

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Parte dei rivelatori a muoni dell’esperimento Atlas.

L’avventura è iniziata. E con che numeri. Qualsiasi “addetto ai lavori” abbia provato a descrivere l’avventura di Lhc a un occasionale ascoltatore, in un’intervista, in un dibattito o semplicemente a un amico o parente che imprudentemente ci aveva chiesto: “Ma che cos’è questo Lhc di cui tanto si parla?”, non avrà potuto (o voluto) fare a meno di ricorrere a iperboli roboanti e paragoni ad effetto. In effetti, da qualunque lato lo si giri, sia l’acceleratore, che gli esperimenti che stanno iniziando la presa dati, presentano risvolti che non si sono mai visti nella sperimentazione scientifica. Anche alcuni aspetti che travalicano la parte più strettamente scientifica dell’impresa, ma che cercheremo ugualmente di mettere in evidenza.
Innanzitutto Lhc stesso: il primo limite che si incontra è l’energia, in quanto a Lhc si accelereranno protoni a un’energia record di 7.000 miliardi di elettronvolt, o 7 TeV (il record attualmente è detenuto dal Tevatron del Fermilab di Chicago, dove ciascuno dei due fasci ha un’energia di circa 1 TeV); questo aumento di 7 volte dell’energia disponibile nelle collisioni porta la sperimentazione a Lhc in una regione (la cosiddetta Terascale), che molti indizi indiretti già ci dicono essere densa di novità scientifiche fondamentali.

Nonostante Lhc abbia una circonferenza di ben 27 km, per tenere “in carreggiata” protoni dell’energia di 7 TeV (e che viaggiano quindi a una velocità pari al 99,9999991% di quella della luce!) sono necessari campi magnetici molto intensi (pari a 8,3 tesla, circa 200.000 volte il campo magnetico terrestre) che sono generati in magneti dipolari superconduttori; per poter arrivare alle intensità di corrente necessarie per generare i campi magnetici che servono a Lhc, si è dovuto però far ricorso a elio superfluido, raffreddato alla temperatura di 1,9 gradi kelvin (cioè circa -271 ºC) come elemento refrigerante. Questa temperatura è addirittura inferiore a quella dello spazio interstellare, dove esiste la radiazione di fondo a 3 gradi kelvin, ultima traccia della fornace primordiale del Big Bang. Inoltre in Lhc tutti gli elementi della macchina sono raffreddati a questa temperatura e pertanto l’impianto criogenico del Cern è capace di fornire ben 32.000 litri di elio liquido ogni ora, garantendo all’acceleratore le circa 120 tonnellate di elio necessarie: se si pensa che l’elio è uno dei gas più leggeri, si ha un’idea del gigantesco frigorifero impiegato.
Passando dall’acceleratore ai rivelatori, anche a uno sguardo veloce ci si accorge che ogni dettaglio è stato portato all’estremo: dalla taglia, alla complessità, alla bellezza tecnologica e alle caratteristiche. Quando, negli anni ’80, si cominciò a parlare di Lhc e dei suoi esperimenti, le caratteristiche previste erano tali, che si dubitava che si potessero costruire esperimenti “normali” alle condizioni estreme generate da fasci di protoni di altissima energia e intensità, che collidono ogni 25 miliardesimi di secondo. Da allora un paziente cammino di ricerca e sviluppo tecnologico sui rivelatori ha permesso di mettere in campo tracciatori al silicio per centinaia di metri quadrati, cristalli scintillanti resistenti alla radiazione, giganteschi rivelatori di muoni, capaci di risoluzioni spaziali, che pochi anni fa erano ancora esclusivo appannaggio di piccoli rivelatori molto specializzati.

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Rivelatore centrale dell’esperimento Cms dopo essere stata posizionata nella postazione finale.
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Dettaglio del rivelatore centrale dell’esperimento Cms con i particolari dei complessi cablaggi necessari alla connessione dei rivelatori dell’esperimento.

Un aspetto tecnologico non sufficientemente messo in rilievo nella descrizione dell’avventura scientifica di Lhc riguarda gli aspetti del calcolo, sia per quanto riguarda l’acquisizione dei dati che per la successiva analisi. A pieno regime Lhc fornirà infatti miliardi di eventi al secondo, ciascuno dei quali produrrà informazioni elettroniche, raccolte dai canali di lettura dei singoli rivelatori; questi diversi pezzi di informazione devono essere assemblati in tempo reale e filtrati, per lasciar passare solo quella parte ritenuta interessante e successivamente scritta su disco. Se si tiene conto che in questo processo si deve ridurre la quantità di informazioni di circa un milione di volte, senza possibilmente perdere quei pochi, preziosissimi eventi che possono evidenziare, per esempio, la produzione di un bosone di Higgs (si stima che siano un evento ogni diecimila miliardi, molto peggio che un ago in un pagliaio!), si capisce l’importanza di questa parte dell’esperimento. Tutto questo è messo in pratica da potentissime reti locali di trasmissione dati, all’avanguardia tecnologica, che passano le informazioni a batterie di potenti server di ultima generazione. L’analisi dell’imponente mole di dati immagazzinata richiederà un altrettanto imponente insieme di computer.

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Una (piccola) parte della collaborazione dell’esperimento Atlas.

Per organizzare questa ulteriore sfida tecnologica, la comunità dei fisici delle particelle da anni sta mettendo a punto la Grid, vera rivoluzione computazionale del nuovo secolo. Con la Grid si ripeterà sicuramente quello che è accaduto negli anni ’90 con il web, il precursore di Internet: uno strumento nato per rispondere alle richieste degli esperimenti di fisica delle particelle (all’epoca quelli al Lep del Cern), che, esportato poi ad altre scienze e quindi alla società, ha modificato quest’ultima in modo irreversibile. Ma l’eccezionalità di Lhc è testimoniata anche da altri parametri, forse meno “scientifici”, ma sicuramente altrettanto impressionanti. Se infatti fino a pochi decenni fa la fase di preparazione di un esperimento durava al massimo qualche anno, la complessità degli esperimenti di Lhc ha esteso questo periodo a una ventina d’anni, durante i quali si sono svolte dapprima delle prove di fattibilità su prototipi, e poi si sono costruite le varie componenti nei laboratori del mondo intero (compresi quelli dell’Infn che hanno avuto una grande parte anche in questa fase). I lavori sono iniziati infatti quando, nel 1987, il Long Range Planning Committee del Cern, con a capo Carlo Rubbia, raccomandò Lhc quale futuro acceleratore al Cern dopo il Lep. Il lavoro iniziò subito in tutti i laboratori e istituti del mondo interessati a questa nuova sfida sperimentale, mettendo in luce un’altra delle particolarità di questi esperimenti: le due collaborazioni Atlas e Cms (le più grandi) sono infatti composte ciascuna da oltre 2.500 fisici e ingegneri, provenienti da oltre 160 istituti, letteralmente da tutto il mondo.
Non si è mai vista sul pianeta una tale “torre di Babele” scientifica. Qui persone provenienti anche da paesi che hanno significative frizioni politiche lavorano fianco a fianco, con un continuo scambio di dati e informazioni, con il solo scopo di mettere il proprio esperimento in condizione di fare misure di eccezionale valore. Queste grandi collaborazioni internazionali pongono, forse per la prima volta nell’ambito della ricerca, dei problemi di ordine sociologico per gestire in modo corretto i vari livelli organizzativi di ogni esperimento, dall’altro sono dei formidabili melting pot, occasioni di “mescolamento”, dove i nostri migliori giovani sono messi in contatto con loro omologhi provenienti da altre esperienze e culture, in un’osmosi continua di eccezionale valore per la nostra società.
Infine, l’ultimo aspetto che vorrei citare è forse quello più importante: il ritorno scientifico. La messe di risultati attesi è infatti imponente e tale da assicurare che gli esperimenti di Lhc riscriveranno il nostro modo di vedere l’Universo: la scoperta del bosone di Higgs, la ricerca della supersimmetria (possibile chiave per una spiegazione in termini di particelle della materia oscura che permea l’Universo), la possibile scoperta di altre dimensioni e, soprattutto, la possibile scoperta di qualcosa di totalmente inaspettato, rendono l’attesa dei primi dati quasi insopportabile.

Biografia
Umberto Dosselli è vicepresidente dell’Infn e partecipa all’esperimento Cms di Lhc. È stato responsabile a diversi livelli di esperimenti di fisica delle alte energie al Cern di Ginevra e al laboratorio Desy di Amburgo.

 

Link
http://lhc.web.cern.ch/lhc
http://www.interactions.org/LHC

 

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