Senza confini
Forma e dimensioni dell’universo

di Amedeo Balbi

a.
Rappresentazione artistica di un multiverso.
I fisici hanno un cattivo rapporto con l’infinito. Mentre i matematici sono riusciti a domarlo e a conviverci, i fisici ne diffidano e ne sono allarmati: la comparsa dell’infinito in una teoria è, in genere, il segno che qualcosa non va. La cosmologia sembra fare eccezione. Fin dai primi tentativi di trovare una descrizione fisica della struttura complessiva dell’universo e della sua evoluzione, l’eventualità di imbattersi nell’infinito è apparsa inevitabile e, tutto sommato, tollerata. Isaac Newton, nei Principia, considerava lo spazio infinito ed eterno. E quando, stimolato dalle richieste del teologo Richard Bentley, rifletté su quale dovesse essere la distribuzione della materia nell’universo, concluse che l’unica possibilità era che esistesse un numero infinito di stelle, sparse con uniformità nello spazio infinito. La cosmologia newtoniana presentava però grandi problemi concettuali: una distribuzione infinita di materia produceva in ogni punto dello spazio un campo gravitazionale impossibile da calcolare, e la struttura stessa dell’universo era altamente instabile. C’erano, inoltre, conseguenze paradossali: in un universo infinito ed eterno il cielo notturno sarebbe stato completamente coperto di stelle, e avrebbe dovuto brillare come la superficie del Sole. Quando, nel 1917, Albert Einstein applicò la sua nuova teoria della relatività generale al problema della struttura dell’universo, sembrò per la prima volta che esistesse una soluzione fisica coerente e immune dalla minaccia dell’infinito. Lo spazio poteva curvarsi, e questo permetteva all’universo di essere racchiuso in se stesso – un po’ come il globo terrestre, che è finito ma su cui possiamo muoverci in ogni direzione senza mai incontrare limiti. Il fisico Max Born salutò con toni entusiastici il modello cosmologico di Einstein dell’universo chiuso: “Uno spazio finito, ma senza confini, è una delle più grandiose idee sulla natura del mondo mai concepite. Risolve il misterioso problema del perché il sistema delle stelle non si sia disperso e rarefatto, come farebbe se l’universo fosse infinito”. Purtroppo, ben presto venne fuori che il modello di Einstein aveva altri problemi e, soprattutto, non si accordava con le osservazioni raccolte dagli astronomi. Le galassie apparivano infatti allontanarsi con una velocità proporzionale alla distanza, e ciò fu infine interpretato come il segno che lo spazio si espandeva: una possibilità contemplata proprio dalla relatività generale, che Einstein aveva però volutamente escluso (vd. fig. b).
 
b.
Albert Einstein con l’abate Georges Lemaitre, lo scopritore della soluzione delle equazioni di Einstein che prevede un universo in espansione. Famosa la frase con cui Einstein, riluttante ad abbandonare il modello di universo statico, accolse questi risultati: “Vos calculs sont corrects, mais votre physique est abominable” (“I vostri calcoli sono corretti, ma la vostra fisica è abominevole”).
 
c.
Se l’universo avesse solo due dimensioni spaziali, potrebbe avere la geometria di un piano, di una sella o di una superficie sferica.
I primi due casi corrispondono a universi infiniti, rispettivamente “piatti” e “aperti”, mentre nel caso sferico l’universo sarebbe finito e “chiuso”. Anche nel caso di un universo con tre dimensioni spaziali, come il nostro, sono possibili, in via teorica, tre possibilità analoghe. Il modello originario di Einstein prevedeva un universo chiuso, ma le osservazioni cosmologiche attuali indicano invece che l’universo, almeno fino alle distanze alle quali possiamo osservarlo, sia piatto.
 
Se lo spazio si espandeva, questo significava che la distanza tra qualunque coppia di punti nell’universo doveva essere stata minore in passato. Estrapolando questa conclusione indietro nel tempo, si andava inesorabilmente incontro a un momento in cui la distanza diventava nulla. In quello stesso istante, qualunque quantità fisica usata per descrivere il contenuto dell’universo – la densità di materia e di energia, la temperatura – sarebbe stata infinita. L’istante iniziale dell’universo – che cominciò a essere chiamato “Big Bang” – sembrava dunque ciò che i fisici chiamano una singolarità: un punto in cui lo spaziotempo stesso cessa di esistere. Le difficoltà concettuali legate a questa singolarità furono però accantonate, dal momento che il modello del Big Bang riusciva comunque a descrivere con grande efficacia, e in accordo con le osservazioni, l’evoluzione dell’universo da istanti molto prossimi al momento iniziale.
Nel modello del Big Bang, anche l’estensione spaziale dell’universo può essere, in linea di principio, infinita. Se si assume – coerentemente con il principio copernicano – che non esistono posizioni speciali nello spazio, la relatività generale contempla tre diverse classi di soluzioni per la geometria su grande scala dell’universo. L’universo può essere finito e chiuso su se stesso, in modo simile a una sfera (come nel modello di Einstein), ma anche infinito, come un piano o una sella che si estendono senza limiti (vd. fig. c). In ogni caso, poiché l’universo esiste da un tempo finito, la porzione che ne possiamo effettivamente osservare dalla nostra posizione è, generalmente, finita, delimitata da un orizzonte il cui raggio è pari alla distanza che la luce può aver percorso dal Big Bang a oggi.
Il modello del Big Bang, nella sua versione più semplice, ci costringe quindi a confrontarci con almeno due tipi di infinito: quello della singolarità iniziale e quello dell’estensione potenzialmente infinita di ciò che esiste al di fuori dell’orizzonte osservabile. Ma le cose si sono fatte ancora più complicate negli sviluppi del modello emersi negli ultimi decenni, e tutt’ora oggetto di indagine teorica e osservativa. Attorno all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, emerse un nuovo scenario teorico che sembrava chiarire alcuni aspetti problematici delle condizioni da cui è iniziata l’evoluzione dell’universo. Questo scenario, chiamato inflazione cosmica (vd. in Asimmetrie n. 15 [as] Crescita in tempi di inflazione., ndr), prevedeva un periodo di espansione accelerata in un’epoca immediatamente successiva all’ipotetico momento iniziale. Il meccanismo fisico che scatenava l’inflazione era basato su un ingrediente apparentemente molto semplice: l’energia dello spazio vuoto, in grado di esercitare una sorta di azione repulsiva sullo spazio stesso, spingendolo a espandersi. La fase di inflazione aveva, da un lato, l’effetto di “spianare” lo spazio su grande scala, producendo una geometria piatta nell’universo osservabile. Dall’altro, portava alla creazione di piccole disuniformità nella distribuzione iniziale di materia, i “semi” da cui la gravità ha col tempo fatto addensare galassie e ammassi di galassie. Entrambe queste previsioni sono effettivamente in accordo con le osservazioni, e l’idea generica di inflazione è ormai entrata a far parte della descrizione comunemente accettata dell’universo.
Uno degli aspetti attraenti dell’inflazione è che essa permette di eludere il problema della singolarità iniziale. L’universo può emergere da uno spaziotempo pre-esistente, un “vuoto” (il vuoto quantistico) in cui esistono solo i campi che controllano le interazioni fondamentali. Ciò che chiamiamo Big Bang sarebbe dunque solo il risultato di una fluttuazione nell’energia di una microscopica regione di spaziotempo vuoto. L’energia dell’universo non è mai stata infinita, ma solo estremamente grande. Ma se l’inflazione sembra poter cancellare l’infinito dall’istante iniziale, lo stesso non si può dire per l’estensione spaziale dell’universo. Anzi, in questo senso le cose peggiorano. Il meccanismo dell’inflazione è infatti talmente efficace che, una volta innescato, non è facile interromperlo. Nello scenario di inflazione attualmente più popolare, noto come “inflazione eterna” (vd. fig. d), esistono sempre regioni di spaziotempo che si espandono esponenzialmente. Il nostro universo sarebbe così solo una particolare “bolla” di spaziotempo in espansione, ma un’infinità di altri universi sarebbero continuamente generati a partire da altre regioni di spaziotempo vuoto, fuori del nostro orizzonte. Non solo, ma ciascuno di questi infiniti universi avrebbe diverse caratteristiche fisiche, scaturite dalle condizioni causali presenti nella regione di vuoto da cui esso è emerso. Questa idea di “multiverso” appare, a molti cosmologi, una conseguenza inevitabile delle nostre attuali conoscenze fisiche. Una conseguenza che presenta però enormi problemi concettuali, ancora una volta legati alla presenza dell’infinito. Se infatti esistono infiniti universi con diverse caratteristiche fisiche, prevedere la probabilità di un particolare tipo di universo diventa un compito mal definito – un problema noto in cosmologia come “problema della misura”.
Tutto ciò segnala, forse, la difficoltà dei nostri strumenti teorici nel trattare situazioni che vanno ben oltre i loro limiti, e la necessità di trovare una sintesi che inglobi e superi le descrizioni, conflittuali e incomplete, della relatività generale e della meccanica quantistica. Dopotutto, forse i fisici hanno ragione a diffidare dell’infinito.
 
d.
Nello scenario dell’inflazione eterna, ogni universo può contenere delle regioni che a un certo punto si espandono esponenzialmente, dando origine a quello che a tutti gli effetti è un altro universo, in cui a sua volta possono generarsi altre inflazioni e altri universi. Il processo potrebbe non aver avuto un inizio (da cui il nome “eterna”) ed è uno dei possibili meccanismi per la produzione di un multiverso.



 

Biografia
Amedeo Balbi, astrofisico, insegna all’Università di Roma Tor Vergata. I suoi interessi di ricerca spaziano dallo studio dell’universo primordiale, al problema delle componenti oscure, all’emergere della complessità e della vita nel cosmo. Attivo da anni anche sul fronte della divulgazione scientifica, è tra l’altro editorialista della rivista Le Scienze e autore di diversi libri, l’ultimo dei quali è “Cercatori di meraviglia” (Rizzoli, 2014), vincitore del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2015.


Link
http://www.keplero.org/2009/11/vite-degli-astronomi-9-georges-lemaitre.html
http://www.keplero.org/2010/10/quanto-e-grande-luniverso.html


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