Onde di spaziotempo
di Luciano Rezzolla
Sono alla fermata dell’autobus 605 qui a Potsdam e controllo nervosamente il mio orologio.
Sono le 8:32 e l’autobus delle 8:31 è in ritardo; fortunatamente un pannello luminoso mi avvisa che l’autobus è a solo un minuto da qui e che riuscirò ad arrivare in tempo all’Istituto Albert Einstein, dove lavoro. Questo episodio potrebbe sembrare un elogio alla puntualità tedesca ma è in realtà un successo della fisica teorica, oltre che della tecnologia, e in particolare un elogio alla teoria della relatività formulata quasi cento anni fa proprio da Albert Einstein. Mentre è probabilmente noto a tutti che l’accurata conoscenza della posizione dell’autobus è garantita dall’ormai diffusissimo sistema di posizionamento globale, il Gps (Global Positioning System), pochi però sanno che senza le correzioni introdotte proprio dalla teoria della relatività il Gps non sarebbe in grado di dirmi se l’autobus è dietro l’angolo, oppure a Berlino, a 35 km da qui.
È il campo gravitazionale.
È sufficiente pensare a un lenzuolo teso ad una certa altezza da terra. In assenza di pesi esso appare perfettamente piatto; tuttavia, se vi appoggiamo un oggetto, ad esempio una palla da biliardo, il lenzuolo si incurverà nelle sue vicinanze e qualsiasi altro corpo meno massiccio tenderà a cadere nella buca così prodotta, o a ruotarvi intorno.
La relatività generale ha superato nel corso degli ultimi novanta anni una grande quantità di verifiche sperimentali ed è ancora oggi la teoria della gravitazione che meglio di qualsiasi altra è in accordo con le osservazioni astronomiche e con gli esperimenti condotti in laboratorio. Sembrerebbe un successo su tutta la linea, e in gran parte lo è. Tuttavia, c’è un aspetto della teoria che finora si è sottratto alla verifica sperimentale, e pertanto rimane un mistero, quello delle onde gravitazionali. Se da una parte la teoria ne predice in maniera abbastanza diretta e semplice l’esistenza, dall’altra però nessun esperimento, da quaranta anni a questa parte, è mai stato in grado di rivelarle direttamente. Se la teoria della relatività generale è corretta, come la gran parte delle comunità dei fisici sostiene, le onde gravitazionali non possono non esistere e devono poter essere rivelate in modo diretto, e non solo attraverso effetti secondari che potrebbero essere attribuiti anche a cause diverse.
Deformazione quadrupolare alla quale sarebbe soggetto l’uomo Vitruviano di Leonardo, se attraversato da un’onda gravitazionale. In realtà, le deformazioni sono molto piccole, al limite delle possibilità dei più sofisticati rivelatori esistenti al mondo.
Ma cosa sono esattamente le onde gravitazionali? Concretamente, esse rappresentano la propagazione alla velocità della luce di deboli increspature nella curvatura nello spaziotempo (le piccole pieghe, nell’esempio del lenzuolo). Da un punto di vista più matematico, però, le onde gravitazionali nascono come soluzioni delle equazioni di Einstein in campi gravitazionali deboli, cioè in lenzuoli “quasi piatti”. In questo senso la teoria le definisce come “soluzioni delle equazioni di Einstein”, cioè relative a piccole curvature dello spaziotempo, esattamente come le onde elettromagnetiche sono soluzioni particolari di altre equazioni, le equazioni di Maxwell, e le onde su una superficie liquida sono soluzioni delle equazioni dell’idrodinamica. In tutti questi casi, le onde sono solo delle piccole perturbazioni che si allontanano dalla sorgente che li ha prodotti, e sono di tipo trasverso, ossia producono cambiamenti nella direzione perpendicolare a quella in cui si propagano. Consideriamo il caso, sicuramente più vicino alla nostra esperienza comune, di uno stagno sulla cui superficie stia inizialmente galleggiando un tappo di sughero. La propagazione delle onde d’acqua perturberebbe il tappo e, nel caso di onde di piccola ampiezza, questo comincerebbe a oscillare con moto periodico lungo la verticale, perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda. In maniera del tutto analoga, le onde gravitazionali che si propagano nello spaziotempo lo perturbano modificandone localmente il valore della curvatura (quindi del campo gravitazionale). Durante la loro propagazione, le onde gravitazionali producono così delle forze di marea che fanno variare la posizione degli oggetti, in particolare di quelli che non sono soggetti a forze esterne, esattamente come le forze mareali esercitate dalla Luna sulla Terra inducono lo spostamento delle superfici liquide sul pianeta.
In generale, le onde gravitazionali sono caratterizzate da due gradi di polarizzazione (il piano sul quale oscilla il tappo di sughero, nell’esempio dello stagno) lungo due direzioni poste a 45 gradi l’una dall’altra. Ognuno dei due induce una forza mareale di tipo “quadrupolare”, ossia di compressione in una direzione e di stiracchiamento in quella a essa perpendicolare (vd. fig. a, fig. b). Per nostra fortuna le onde gravitazionali che giungono sulla Terra non producono deformazioni apprezzabili; esse, però, sono anche talmente deboli che tutti i dispositivi finora costruiti non sono ancora stati in grado di rivelarle!
Ma come sono generate le onde gravitazionali?
In realtà esse sono prodotte in continuazione ogni volta che una massa-energia è messa in movimento, quindi anche adesso, nell’atto di sfogliare questo fascicolo. Tuttavia, l’ampiezza di queste onde sulla Terra è in generale infinitesimale onde tali da essere rivelate possono essere generate solo da enormi masse in movimento, a velocità vicine a quella della luce. Chiaramente sulla Terra non c’è nulla che soddisfi queste condizioni ed è necessario rivolgersi a sorgenti di tipo astrofisico per poter sperare di avere un segnale sufficientemente intenso da essere rivelato. Gli oggetti astrofisici in grado di produrre onde gravitazionali rivelabili devono essere estremamente massicci e, per potersi muovere ad alta velocità, devono essere anche molto compatti. Candidati ideali di questo tipo sonoi buchi neri e le stelle di neutroni, in prossimità dei quali la curvatura dello spazio tempo raggiunge i più alti valori possibili. La radiazione gravitazionale, inoltre, è particolarmente intensa quando è emessa da un sistema binario di stelle di neutroni, o di buchi neri, che muovendosi a spirale in direzione del comune centro di massa rilasciano enormi quantità di energia e momento angolare (una quantità che dipende anche dalla velocità di rotazione).
Analogia meccanica delle onde prodotte da un sistema binario di oggetti compatti. Le barre rotanti rappresentano il sistema di oggetti compatti e le onde dello stagno raffigurano le increspature della curvatura dello spaziotempo, ossia le onde gravitazionali.
I sistemi binari di oggetti compatti sono le sorgenti ideali e maggiormente ricercate dai moderni rivelatori e il tipo di radiazione emesso può essere illustrato con una semplice analogia meccanica. Si pensi, infatti, a una coppia di barre in rotazione in uno stagno (vd. fig. c): le barre rotanti rappresentano il sistema di oggetti compatti e le onde dello stagno sono associate alle increspature della curvatura dello spazio tempo, cioè alle onde gravitazionali.
Spiraleggiando verso il bordo dello stagno, le onde portano con sé energia e momento angolare e diminuiscono in ampiezza, proprio come avviene per i sistemi binari.
Sorgenti di questo tipo emettono sotto forma di onde gravitazionali quantità di energia pari a qualche percento della loro massa. In pratica,in un intervallo di tempo di appena qualche millisecondo, sprigionano l’energia che centinaia di stelle simili al nostro Sole emettono in 10 miliardi d’anni, cioè in tutta la loro esistenza. Esse sono mediamente a grosse distanze dalla Terra e di conseguenza l’ampiezza che giunge a noi è estremamente piccola. Per avere un’idea, basti pensare che un sistema binario di buchi neri di massa uguale al nostro Sole, a una distanza di seicento milioni di anni luce, produce onde gravitazionali con un’ampiezza di una parte su mille miliardi di miliardi: prendendo come riferimento una lunghezza pari alla distanza tra la Terra e il Sole, la deformazione causata dall’onda gravitazionale sarebbe delle dimensioni di un atomo. Misure di questo tipo sono chiaramente al limite della nostra tecnologia e la rivelazione di onde gravitazionali rappresenta quindi una vera a propria sfida, non solo per la fisica sperimentale ma, in modo equivalente, anche per quella teorica.
Le onde attese, infatti, produrrebbero un segnale confrontabile con il rumore di fondo dei rivelatori, rappresentato dall’inevitabile contributo dell’ambiente, e quindi teoricamente impossibile da rivelare. Tuttavia, se il segnale fosse noto a priori, questo potrebbe essere “estratto” dal rumore di fondo tramite una tecnica chiamata matched filters che è abbastanza semplice da comprendere. Si immagini di essere all’ascolto di una trasmissione radiofonica estremamente disturbata ma in cui è comunque possibile udire e distinguere occasionalmente delle parole. Ebbene, se a noi fossero note alcune informazioni di base (come ad esempio la lingua usata, l’argomento discusso, il numero delle voci,e così via) il nostro cervello sarebbe in grado di“estrarre” il segnale dal rumore e ricostruire così, quasi interamente, quanto trasmesso.
Da un punto di vista teorico, quindi, la sfida è quella di predire la forma dell’onda gravitazionale prodotta dalle sorgenti più intense e comuni, al fine di fornire questa informazione ai fisici sperimentali che si occupano di mettere a punto i sistemi per la rivelazione. Sembrerebbe un compito semplice, ma non lo è affatto! La soluzione delle equazioni di Einstein in assenza di approssimazioni e simmetrie, infatti, è estremamente ardua, poiché le stesse equazioni sono molto complesse. A questo va poi aggiunta la necessità di descrivere il moto della materia attraverso le equazioni dell’idrodinamica e della magnetoidrodinamica, raggiungendo un numero di equazioni accoppiate così elevato, che la loro soluzione è possibile solo sfruttando le risorse dei più potenti supercalcolatori.
Nonostante queste difficoltà, sono stati fatti recentemente notevoli progressi e la predizione delle onde gravitazionali prodotte da sorgenti compatte non è mai stata accurata e stabile com’è oggi, rendendo così più efficace la sinergia tra fisici teorici e fisici sperimentali nella ricerca in questo campo.
Simulazione al computer delle onde gravitazionali prodotte da un sistema binario di due buchi neri.
Le onde elettromagnetiche, inoltre, subiscono gli effetti del passaggio nel materiale interposto tra noi e la sorgente, che in parte le assorbe. Le onde gravitazionali, al contrario, si propagano pressoché indisturbate e ci forniscono informazioni sui movimenti globali delle sorgenti, a frequenze che sono assai più basse di quelle delle onde elettromagnetiche. In virtù di questa sorta di “ortogonalità” tra i due tipi di messaggi, l’informazione che sarà registrata attraverso le onde gravitazionali sarà unica e complementare a quella elettromagnetica.
Per queste ragioni, la rivelazione delle onde gravitazionali rappresenta una delle più grandi sfide della fisica moderna, ma offre anche la prospettiva di fornire informazioni che ci sono state finora precluse. Come già successo in passato con l’avvento dell’astronomia a raggi X e di quella gamma, l’astronomia delle onde gravitazionali sarà foriera di grandi scoperte, svelando un Universo che finora è rimasto avvolto nell’oscurità.
Un faro gravitazionale
Sebbene non ancora rivelate direttamente, esistono pochi dubbi sull’esistenza delle onde gravitazionali. Questa certezza si deve all’osservazione della pulsar PSR1913+16, appartenente a un sistema stellare binario scoperto nel 1974 dagli astronomi americani Hulse e Taylor con il radiotelescopio di Arecibo, a Portorico. Una pulsar è una sorta di radiofaro stellare: una stella di neutroni capace di compiere ogni secondo fino a 1.000 giri su stessa, emettendo onde radio in direzioni ben definite. A periodi regolari, la PSR1913+16 emette segnali anche nella nostra direzione. Tra tutte le pulsar scoperte da Hulse e Taylor, la frequenza dell’emissione di onde radio da parte della PSR1913+16 mostrava alcune anomalie rispetto alle altre pulsar allora note. Il singolare comportamento poteva essere spiegato solo ammettendo che la stella orbitasse intorno a una compagna, anch’essa probabilmente una stella di neutroni, perdendo energia e rallentando. Fu questa la scoperta del primo sistema binario di stelle di neutroni, che valse a Hulse e Taylor il premio Nobel per la fisica nel 1993. Per un sistema binario come quello della PSR1913+16, la teoria della relatività generale prevede una considerevole emissione di onde gravitazionali, ancora troppo bassa, però, per essere rivelata direttamente sulla Terra. I suoi effetti, tuttavia, diventano evidenti osservando l’orbita della pulsar. L’emissione di onde gravitazionali, infatti, riduce l’energia del moto orbitale: le due stelle tendono ad avvicinarsi l’una all’altra di alcuni metri l’anno e la periodicità degli impulsi radio diminuisce di una quantità che possiamo misurare. Nel grafico della figura, la diminuzione è stata registrata lungo un intervallo di circa trent’anni. Per ogni anno di osservazione è riportata la diminuzione del tempo necessario per una rotazione orbitale della pulsar binaria: questo è calato nel corso degli anni di 40 secondi (i punti nel grafico). La curva continua, invece, rappresenta i risultati della previsione teorica, calcolati nell’ipotesi che la variazione nella rotazione sia dovuta all’emissione di onde gravitazionali. Come si può vedere, le misure sperimentali si adagiano perfettamente sulla curva teorica e, a buon diritto, l’osservazione della PSR1913+16 rappresenta la prima prova sperimentale indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali. [Danilo Babusci] Due curiosità Link |
Biografia
Luciano Rezzolla è professore di astrofisica relativistica all’Albert Einstein Institute (Aei) di Golm, in Germania, dove dirige il gruppo dedicato alla modellizzazione, con simulazioni numeriche e studi perturbativi, di sorgenti di onde gravitazionali.
Link
http://numrel.aei.mpg.de/
http://www.einstein-online.info/en/
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