Oltre i limiti
Divergenza in termodinamica
di Vincenzo Greco
Può esistere una temperatura infinita, un’energia infinita, una pressione infinita? Diremmo di no, perché tutto ha un limite nell’esperienza che facciamo del mondo che ci circonda. Certo si possono avere energie molto grandi – ma “infinite”, cosa vuole dire? Ci sono almeno due modi in cui l’infinito entra in gioco. Il primo, noto come “limite termodinamico”, appare quando si studia l’evoluzione temporale di un sistema formato da un numero grandissimo di particelle (molecole, atomi, nucleoni o quark). Il secondo, forse ancora più affascinante, appare quando anche le variabili termodinamiche tendono, matematicamente, all’infinito. Più in dettaglio, il limite termodinamico è il comportamento di un sistema fisico quando si considera che il suo numero di particelle N e il suo volume V diventano infinitamente grandi, mantenendo però il rapporto tra N e V – cioè la densità del sistema che vogliamo studiare – pari a un numero finito. Questo limite all’infinito ci permette di studiare con estrema precisione le proprietà di un gas, di un liquido o di un plasma. La motivazione di fondo per questa possibilità risiede nel fatto che la struttura della materia è tale che quasi tutti i sistemi che ci circondano, anche se non contengono un numero infinito di particelle, ne contengono un numero veramente molto grande. Infatti, sappiamo che la materia è composta di atomi in modo tale che, ad esempio, in un solo grammo di metano ci sono circa ventimila miliardi di miliardi di molecole e, particella più particella meno, lo stesso vale per un grammo di acqua. Allora si può far “finta” di avere infinite particelle, poiché non è più importante sapere ad ogni istante la posizione e la velocità di ognuna delle miriadi di particelle, e il sistema si può descrivere molto bene, quasi con “infinita” precisione, con un piccolo numero di variabili termodinamiche come la temperatura, la pressione e l’entropia. In altri termini, il limite termodinamico vuol dire che i dettagli microscopici del sistema possono essere trascurati e non c’è più la necessità di conoscere i dettagli del moto (posizione e velocità, ad ogni istante di tempo) delle singole particelle e delle loro mutue interazioni. Cosa accade, poi, quando al limite termodinamico alcune osservabili termodinamiche del sistema, come l’energia (in termini più tecnici, la “funzione di partizione” del sistema) o le loro derivate matematiche, come il calore specifico, presentano una divergenza?
Un’analisi superficiale indicherebbe che abbiamo sbagliato la descrizione teorica del nostro sistema. In realtà la comparsa dell’infinito non indica un non-senso, ma la presenza di uno dei fenomeni fisici più importanti che si presenta per una miriade di sistemi, da quelli macroscopici a quelli del mondo subnucleare: il sistema presenta una “transizione di fase”, cioè il passaggio a uno stato diverso, come avviene per l’acqua che passa dallo stato liquido a quello gassoso (vapore) o a quello solido (ghiaccio), per un metallo che si magnetizza, per un materiale che diventa superconduttivo oppure, nella fisica delle interazioni fondamentali, quando si rompe una simmetria e il bosone di Higgs cambia il mondo dando una massa alle particelle elementari.
Non sempre però questo è stato così chiaro o è stato facile identificare che cosa ci sia dietro un infinito di questo tipo. Negli anni ‘50 si iniziò a scoprire che le particelle che interagiscono tramite la forza nucleare non sono solo i protoni e i neutroni nel nucleo, ma che esiste una vastità di particelle denominate “adroni”. Anzi, si scopriva che più grande è la massa di tali adroni e più cresce il numero del tipo di particelle (la densità degli stati) che possono esistere. Più precisamente, questo numero cresce in modo esponenziale con la massa delle particelle. Appariva così che, quando un sistema di adroni veniva portato a una temperatura T prossima a 158 MeV (qualche migliaio di miliardi di gradi centigradi), l’energia del sistema sembrava crescere esponenzialmente fino a divergere. Queste osservazioni portarono al concetto di temperatura limite (massima) “di Hagedorn”, oltre la quale nessun sistema poteva andare. A quel tempo non era facile capire che la realtà era un’altra, anche se con le conoscenze di oggi sappiamo che era quasi sotto gli occhi. Infatti, Rolf Hagedorn pubblicò il suo lavoro nel 1965, solo un anno dopo il lavoro in cui Murray Gell-Mann e George Zweig avevano introdotto l’idea che gli adroni si possono descrivere come composti di quark (vd. in Asimmetrie n. 16 A tinte forti, ndr). Ma quasi nessuno credeva alla loro reale esistenza fino alla prima metà degli anni ‘70.
Nel 1975 Nicola Cabibbo e Giorgio Parisi intuirono che la divergenza presente nel gas adronico non era altro che il segnale della transizione di fase a un plasma di quark (vd. fig. b). Circa 35 anni dopo tale intuizione, il plasma di quark viene studiato, e siamo ragionevolmente certi che venga effettivamente creato, nelle collisioni in Lhc. Questo è, difatti, lo stato della materia che ha permeato l’universo nei primi microsecondi dopo il Big Bang (vd. in Asimmetrie n. 15 Brodo primordiale, ndr). La presenza dell’infinito nella teoria era il segnale dell’esistenza di particelle, i quark, fino ad allora sconosciute.
a.
Rolf Hagedorn, il fisico tedesco che diede il nome alla temperatura limite massima.
b.
Il grafico mostra come varia la densità barionica in funzione della temperatura. In un sistema composto da quark e gluoni in equilibrio, quando la temperatura supera il valore critico tra 150 e 170 MeV avviene una transizione di fase tra uno stato confinato (adroni) e uno deconfinato (plasma di quark e gluoni). Tale scenario, che si suppone sia avvenuto subito dopo il Big Bang, viene simulato con calcoli su reticolo (vd. in Asimmetrie n. 11 Calcolando per punti, ndr) ed è cercato dagli esperimenti agli acceleratori con ioni pesanti come Alice al Cern.
Altre volte l’infinito appare in maniera sostanzialmente diversa e segnala l’esistenza di fenomeni insospettati. Nella seconda metà dell’800, la ricerca sperimentale sull’emissione di energia elettromagnetica da parte di un corpo, in ragione della sua temperatura (detta “radiazione di corpo nero”), aveva condotto a stabilire due leggi fondamentali, quella di Stefan-Boltzmann (la potenza irraggiata è proporzionale a T
4) e quella di Wien (la frequenza a cui c’è la massima emissione è proporzionale a T), e per un po’ di tempo si fece finta di aver capito questo fenomeno fisico. Però i tentativi di dare una interpretazione teorica ai risultati sperimentali, ricorrendo alle leggi dell’elettromagnetismo e della termodinamica, portavano alla presenza di un infinito. John William Rayleigh e James Jeans ottennero per l’emissione termica una legge in cui la potenza emessa cresce indefinitamente all’aumentare della frequenza. A questo risultato fu dato successivamente il nome di “catastrofe ultravioletta”, perché la divergenza riguardava le frequenze oltre il visibile. L’ipotesi dei quanti di Planck preveniva la comparsa di questa divergenza, fornendo il corretto spettro di emissione del corpo nero, ma era priva di qualsiasi giustificazione nell’ambito della fisica del tempo. Tuttavia, essa ha dato inizio alla fisica quantistica che ha completamente rivoluzionato il modo di vedere il funzionamento del mondo microscopico (vd. anche
[as] radici: Una catastrofe evitata., ndr). Lo sviluppo della fisica quantistica ha permesso poi di capire che le particelle con spin intero, dette “bosoni”, hanno una distribuzione in impulso, detta “di Bose-Einstein” (da cui il nome “bosoni”), che almeno a basse energie è molto diversa da quella classica di Boltzmann (vd. in Asimmetrie n. 19
Hot stories, ndr). Tale distribuzione spiega bene molti fenomeni, ma quando il potenziale chimico è nullo, se si guarda a impulso zero, la distribuzione di Bose- Einstein diverge. Di nuovo, che cosa significa? La distribuzione è errata? In realtà, studiando più attentamente il problema, l’infinito nella distribuzione segnala un fenomeno di “condensazione di Bose-Einstein”, ipotizzata da Einstein nel 1925, basandosi su un lavoro di Satyendranath Bose, che solo 70 anni dopo è stata realizzata da Eric Cornell e Carl Wieman all’Università del Colorado e da Wolfgang Ketterle al Mit, usando un gas di rubidio. Si tratta di un fenomeno che fa sì che, sotto una certa temperatura, in un gas di bosoni improvvisamente quasi tutti gli atomi condensano fermandosi a velocità nulla.
c.
La formazione di un condensato di Bose-Einstein è stata dimostrata nel 1995 da Eric Allin Cornell e Carl Wieman e, indipendentemente da Wolfgang Ketterle, premiati con il premio Nobel nel 2001. I tre grafici mostrano (al diminuire della temperatura, andando da sinistra a destra nella figura) la distribuzione di velocità di un gas di atomi di rubidio: a sinistra prima dell’apparizione del condensato, al centro si osserva la formazione del condensato, a destra solo atomi nello stato condensato.
Questo, tra le altre cose, permette di ottenere una materia a temperatura solo un decimilionesimo di grado più “calda” dello zero assoluto (-273,15 °C): il sistema più freddo di tutto l’universo (basti pensare che lo spazio intergalattico ha una temperatura di -270°C). In questa fase gli atomi perdono la loro identità e si incontrano e si attraversano l’un l’altro, senza neppure deviare la loro traiettoria. Non possiamo soffermarci sulle proprietà e la forma di questo stato della materia superfluido, che sta dando vita a molteplici applicazioni non immaginabili fino a poco più di un decennio fa – come, solo per citarne una, gli orologi atomici ultraprecisi (vd. in Asimmetrie n. 17
Spaccare il secondo, ndr) – ma si tratta di un altro esempio di un infinito in fisica teorica, che ci porta a capire l’esistenza di un fenomeno spettacolare. C’è infine un ultimo, anzi un primo, infinito termodinamico ancora presente in fisica teorica. Si trova nella teoria del Big Bang, che pone all’inizio il “Tutto” con temperatura e pressione infinita, che esplodendo ha dato l’inizio al tempo e all’universo in espansione che osserviamo oggi (vd.
Senza confini, ndr). Anche in questo caso la presenza di un infinito fa pensare che in realtà accada qualcosa di diverso che non abbiamo ancora capito. Certo trattandosi proprio dell’inizio del “Tutto” si tende a essere più “indulgenti” con la presenza di un infinito, ma i fisici sono già al lavoro per trovare una teoria che lo spieghi. Come sempre, però, prima di trovare la soluzione giusta, tutto appare solo molto più complicato. Attualmente, le teorie che risolvono l’infinito termodinamico ne fanno apparire uno ancora più intrigante: l’infinito nel tempo, cioè l’eterno. Di fatti le possibili soluzioni teoriche, incuranti di S. Agostino, non contengono un inizio del tempo ma si estendono da un eterno passato a un eterno futuro. Insomma non è proprio facile sciogliere ogni infinito, ma la sua presenza è garanzia che dobbiamo ancora scoprire e capire qualcosa di veramente nuovo.
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