La Fisica, la Bellezza e l'Antimateria
La storia enigmatica dell’antimateria e della simmetria nell’Universo.
di Andrea Vacchi

a.
Il quadro Day and Night di M. C. Escher. Il positrone, la controparte di antimateria dell’elettrone, fu inizialmente immaginato come una lacuna nel mare di Dirac. Una scatola piena di elettroni, salvo un piccolo spazio, può essere vista come una scatola vuota con un positrone in quello stesso spazio.
Nell’estate del 1931 Wolfgang Pauli assisteva a un seminario di Robert Oppenheimer sul lavoro del fisico teorico Dirac. Si racconta che, nel bel mezzo di quella lezione, scattò in piedi, afferrò un pezzo di gesso camminando verso la lavagna, e lì davanti si fermò brandendolo come per intervenire, poi disse: “Ach nein, das ist ja alles falsch!”… tutto questo è certamente sbagliato! Più tardi Pauli scrisse, a proposito della spiegazione che Dirac dava dei risultati della sua teoria,“non crediamo che tutto questo debba essere preso sul serio”.
Di carattere molto schivo, ai limiti della scontrosità, quando nel 1933 Paul Dirac seppe di aver ricevuto il premio Nobel la sua prima tentazione fu di rinunciare al riconoscimento. Accettò solo davanti all’obiezione di Ernest Rutherford, Nobel nel 1908, che il rifiuto avrebbe suscitato una pubblicità perfino maggiore. Aveva 31 anni e la convinzione che le leggi fondamentali della Natura fossero pervase da una bellezza matematica che resta tale da qualsiasi punto di vista e sempre. In quel periodo la recente teoria della meccanica quantistica spiegava come il mondo delle cose molto piccole seguisse leggi diverse da quelle suggerite dal nostro intuito: la meccanica quantistica è una delle maggiori rivoluzioni nella fisica del ventesimo secolo e, anche se può apparire bizzarra e lontana dall’intuito, è probabilmente la descrizione della Natura più vicina alla realtà. Nel frattempo, Einstein proponeva la sua teoria della relatività speciale, dove si mostrava come lel eggi che descrivono cose molto veloci sfidino i nostri criteri di buonsenso e che la materia è una tra le tante forme di energia. Nel 1927, Paul Dirac fece il passo fondamentale per accordare fisica quantistica e teoria della relatività speciale di Einstein, introducendo un’equazione in grado dispiegare il comportamento degli elettroni ad ogni velocità, fino alla velocità della luce: quale è la giusta descrizione dell’elettrone come onda quantica? E quale l’equazione che governa la dinamica di queste onde, rispettando le regole della relatività? Il lavoro di Dirac era volto a descrivere la Natura attraverso una formula che rispettasse un’estetica nella matematica. Gli capitò di dire: “È più importante arrivare a equazioni belle che ottenere da esse la riproduzione di osservazioni sperimentali”. Questa impostazione lo condusse a risultati spettacolari. È fondamentale che l’esperimento confermi una teoria scientifica, ma certe teorie appaiono troppo belle per essere scartate, anche se restano in attesa di una conferma sperimentale. Semplicità ed eleganza sonole caratteristiche che appaiono quando una teoria è sviluppata con il minimo numero di assunzioni, quando è universale e descrive fenomeni ai quali non era diretta in origine.
b.
Un ritratto di Paul Dirac.

Dirac amava la montagna: tra le sue ascensioni si ricorda il monte Elbruz nel Caucaso. Si preparava a queste escursioni arrampicandosi sugli alberi nelle colline attorno a Cambridge, vestito degli stess iabiti scuri che usava nel campus. Se per gli artisti la bellezza è spesso soggettiva, nella scienza si cercano equazioni che mantengano la loro forma anche attraverso trasformazioni che le adattano ai diversi sistemi di riferimento. L’equazione della sfera, ad esempio, non cambia quando le coordinate sono invertite: la sfera resta tale vista da qualunque prospettiva, anche attraverso uno specchio. La sua affermazione sull’importanza della bellezza era diretta a Erwin Schrödinger. Dirac era dell’avviso che Schrödinger avrebbe dovuto continuare il suo sviluppo teorico senza curarsi degli esperimenti. Egli fece in questo modo, arrivando a scoprire un’equazione consistente con la relatività, ma in una forma matematica nuova, insolita per la maggior parte dei fisici di allora. È un’equazione che ha la stessa forma in ogni sistema di riferimento e resta invariata nelle trasformazioni di spazio e tempo richieste dalla teoria della relatività.
Il lavoro di Dirac, intitolato La Teoria Quantistica dell’Elettrone, fu pubblicato ottanta anni fa, nel febbraio del 1928. Lo sviluppo che vi si proponeva portava alla sua equazione, in grado di fornire una spiegazione naturale per le caratteristiche dell’elettrone come lo spin, ma conduceva anche a risultati sorprendenti e apparentemente paradossali: ogni soluzione in cui l’elettrone aveva una prevedibile energia positiva, permetteva una controparte con energia negativa, stati a energia negativa che apparivano come particelle con numeri quantici inversi rispetto alla materia “normale”: tutti lo ritenevano innaturale, impossibile.
Furono necessari tre anni di ipotesi e discussioni e finalmente nel 1931, interpretando i suoi risultati, Dirac intuì e propose l’esistenza dell’antielettrone, chiamato anche positrone, una particella con la stessa massa e lo stesso spin dell’elettrone, ma con carica elettrica opposta.
Era un’ipotesi ardita nata come risultato di una formulazione teorica che diede luogo, tra i fisici, a discussioni infuocate. Dirac predisse, inoltre, che se un elettrone avesse incontrato un antielettrone, la coppia si sarebbe dovuta annichilare e la massa ricombinata trasformarsi in radiazione, così come richiesto dalla celebre equazione di Einstein E = mc2. Una simile particella era sconosciuta.
Dirac formulò l’ipotesi che in altre parti dell’Universo le cariche positive e negative fossero invertite, che esistesse quindi un Universo di antimateria. L’insistere sulla consistenza e bellezza della teoria portava a immaginare aspetti inattesi della Natura. Naturalmente questo richiedeva un’intelligenza intuitiva straordinaria, che certo a lui non mancava.

c.
Carl Anderson vicino alla camera a nebbia con cui scoprì il positrone nel 1932.

Nel 1932, mentre studiava le tracce lasciate dalle particelle dei raggi cosmici nel suo rivelatore, la camera a nebbia, Carl Anderson notò che alcune di esse, pur avendo tutte le caratteristiche lasciate di solito dagli elettroni, reagivano al campo magnetico come se avessero carica opposta. Si trattava della prima chiara evidenza sperimentale dell’esistenza di una particella di antimateria, l’antielettrone di Dirac. Una scoperta sensazionale: l’antielettrone previsto dai risultati dell’equazione di Dirac era stato identificato senza possibilità di errore. Un trionfo esaltante per la fisica teorica che vide confermata dall’esperimento la sua predizione, frutto di immaginazione e bellezza matematica.

[as] approfondimento
Il mistero dei raggi cosmici

1.
Questo strumento è una delle camere a nebbia usate da Carl Anderson in un forte campo magnetico. Millikan aveva chiamato la linea sperimentale, impostata attorno al 1930 con l’uso di questi strumenti, study of cosmic rays, the birth cries of the universe, ossia “studio dei raggi cosmici, il primo vagito dell’Universo”.
 

2.
La famosa fotografia del 1932: raffigura il positrone che entrando dal basso attraversa uno spessore di piombo perdendo energia. Una minore energia, infatti, determina una maggiore curvatura della traccia nel campo magnetico. L’elettrone avrebbe avuto una curvatura opposta.
 

La più naturale sorgente di antimateria era, allora come oggi, la radiazione proveniente dal Cosmo. Già nel 1912 Victor Hess, salendo a 5.000 metri con un pallone aerostatico, aveva notato che la ionizzazione prodotta sui suoi strumenti dalla radiazione cresceva aumentando la quota. “I risultati delle mie osservazioni si spiegano perfettamente supponendo che una radiazione di grandissimo potere penetrante entri dall’alto nella nostra atmosfera […]”, scrisse più tardi. Una pioggia incessante di particelle provenienti dallo Spazio colpisce la Terra: sono i raggi cosmici, l’unico contatto materiale con la Galassia e l’Universo. Come e dove nascono? In che modo raggiungono la loro energia? Fuori dell’atmosfera terrestre i raggi cosmici sono particelle di ogni tipo: i più abbondanti sono protoni (i nuclei di idrogeno), poi nuclei di elio e di elementi più pesanti. Il campo magnetico della Terra ne devia la traiettoria in modo più o meno importante in base alla loro energia. Arrivando negli strati alti dell’atmosfera e urtando contro le molecole dell’aria, i raggi cosmici primari producono uno sciame, una vera e propria cascata di particelle secondarie, ricca anche di antiparticelle. La natura delle particelle, nello sciame prodotto dai raggi cosmici, muta mentre esse sprofondano nell’atmosfera. Per questo, per poterne studiare le caratteristiche originarie, da sempre i fisici portano i loro strumenti in alta quota. Carl Anderson usava la camera a nebbia, uno strumento studiato da Charles Wilson, che permetteva di fotografare la traccia lasciata in un gas dalle particelle prodotte dai raggi cosmici. Nata per studiare la formazione delle nuvole, consisteva di un cilindro riempito d’aria, chiuso all’estremità da un pistone. Lo spostamento veloce del pistone causava un’espansione del volume della camera con un conseguente calo di temperatura dell’aria satura di vapore acqueo, e questo induceva la formazione di minuscole gocce liquide. Wilson aveva scoperto che le cariche elettriche (ioni) prodotte dal passaggio delle particelle nel gas agivano da centri di condensazione.

3.
Il lancio dall’Antartico di un moderno pallone stratosferico. Sgonfio, il pallone è alto come la torre Eiffel, mentre gonfio ha un diametro di 176 metri. Tra gli obiettivi dell’esperimento Bess-Polar c’è quello di chiarire il puzzle dell’asimmetria materia-antimateria studiando l’antimateria nei raggi cosmici.
4.
Lord Rutheford definì la camera a nebbia o di Wilson “il più originale e meraviglioso strumento della storia della scienza”. Nella camera a nebbia la radiazione entra in una camera di espansione che contiene un gas saturo di vapor d’acqua. L’espansione causata dal pistone raffredda il gas e si formano gocce di vapore attorno agli ioni prodotti dal passaggio delle particelle. La camera a bolle (vd. fig. 4), che valse il premio Nobel a Glaser nel 1960, è lo strumento complementare alla camera a nebbia. Levando il tappo a una bottiglia d’acqua minerale, abbassiamo la pressione e si formano bolle di gas. Nella camera a bolle un liquido è mantenuto a una temperatura prossima al punto di ebollizione. Se la pressione è tolta rapidamente dalla camera con il movimento del pistone il liquido avrà la tendenza a bollire. La particella che attraversa il liquido genera degli ioni sul suo tragitto e questi agiscono da punti di origine di piccole bolle. Una fotografia potrà riprendere la traccia e l’interazione della particella come se si trattasse di un fuoco d’artificio.

Questa prova sperimentale fu confermata pochi giorni dopo da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che, con uno strumento simile ma reso più selettivo dall’impiego di circuiti elettronici molto avanzati (la specialità del giovane Occhialini), osservarono due fenomeni già previsti da Dirac: la generazione di coppie di elettroni e positroni prodotti direttamente dalla radiazione, e l’annichilazione, il processo nel quale particelle e antiparticelle riunite sparivano emettendo radiazione.
Nella lezione che tenne, ricevendo il premio Nobel nel 1933, Dirac ipotizzò l’esistenza dell’antiprotone, o protone negativo. Gli acceleratori di particelle oggi generano antiprotoni, antineutroni e antimesoni. Nella visione di Dirac, come verificato dalla fisica sperimentale, ogni particella elementare ha un complementare, un’antiparticella. Se l’elettrone è un piccolo rilievo, una goccia nello spazio, la sua antiparticella, il positrone, è una fossa, una lacuna. Particella e antiparticella possono essere create o distrutte solo in coppia e la loro somma è radiazione. Questi eventi di creazione e annichilazione di coppie si realizzano oggi normalmente nei grandi acceleratori e vengono osservati con raffinati strumenti negli apparati sperimentali.
L’equazione di Dirac, una delle cattedrali della scienza, spianò la strada allo studio dell’antimateria e inaugurò un periodo fertilissimo di scoperte. La caccia alle antiparticelle era iniziata. Il passo successivo era dimostrare l’esistenza dell’antiprotone. Questa era messa in dubbio da un valido argomento: nell’Universo non c’è simmetria tra materia e antimateria. Inoltre, per produrre l’antiprotone è necessaria un’energia molto maggiore a quella necessaria a produrre positroni.

c.
Il laboratorio Berkeley come appariva nel 1955. Il Bevatron si trova sotto la cupola centrale.
d.
Da sinistra Emilio Segrè, Clyde Wiegand, Edward Lofgren, Owen Chamberlain e Thomas Ypsilantis, i componenti del gruppo che scoprì l’antiprotone. Lofgren era responsabile dell’acceleratore.

Nel 1955 a Berkeley, in California, fu messo in funzione il più potente acceleratore mai costruito fino a quel momento (vd. Asimmetrie n. 6, ndr). Proposto da Ernest Lawrence, il Bevatron era capace di raggiungere 6,2 GeV (allora il miliardo di elettronvolt, il GeV di oggi, era chiamato BeV, da cui il nome dell’acceleratore). Lawrence era cosciente del fatto che questa era l’energia necessaria per superare la soglia di produzione degli antiprotoni.
Emilio Segrè era stato il primo studente a laurearsi con Fermi all’Università di Roma. Anche Owen Chamberlain aveva studiato con Fermi ed era diventato poi assistente di Segrè durante il progetto Manhattan. Insieme progettarono un labirinto di magneti e contatori elettronici attraverso i quali potevano passare solo antiprotoni. L’ingegnoso esperimento usava rivelatori e dispositivi elettronici che per l’epoca erano di frontiera. “Dovemmo selezionarli e pesarli in molto meno di un milionesimo di secondo”, spiegò in seguito Segrè.
Nell’ottobre del 1955, lui e i suoi collaboratori bombardarono un bersaglio di rame con i protoni accelerati dal Bevatron. Si contarono 60 particelle identiche ai protoni, ma con carica elettrica negativa: 60 antiprotoni!

e.
Un antiprotone (traccia colorata artificialmente in azzurro) entra in una camera a bolle dal basso e colpisce un protone. L’energia rilasciata nell’annichilazione produce quattro particelle positive (pioni in rosso), quattro particelle negative (pioni in verde). La traccia gialla è un muone, prodotto di decadimento di uno dei pioni da cui ha origine. I ricci blu sono prodotti da elettroni di bassa energia, da reazioni che non hanno a che vedere con l’antiprotone.
f.
L’evento chiamato “Faustina”, trovato nel febbraio 1955 dal gruppo di ricerca guidato da Edoardo Amaldi in una delle emulsioni fotografiche esposte ai raggi cosmici durante la spedizione in Sardegna del 1953, è interpretabile come processo di “produzione, cattura e annichilamento di un protone negativo”.

Iniziarono anche altre ricerche indirizzate, ad esempio, verso la scoperta del primo antinucleo (vd. “Primo passo verso l’antinucleo” p. 12, ndr), e si scatenò da allora la fantasia dei narratori di fantascienza e non solo. La stampa locale, il Berkeley Gazette, usciva con un titolo preoccupato: “Minacciosa scoperta all’Università di California”.
Pare che al giornalista fosse stato detto che un antiprotone avrebbe causato l’esplosione di chi ne fosse venuto a contatto. Oggi miliardi di antiprotoni vengono prodotti normalmente al Cern di Ginevra e al laboratorio Fermi di Chicago, senza alcun pericolo. Poco dopo la scoperta dell’antiprotone Oreste Piccioni individuò l’antineutrone. Erano anni di vera passione scientifica tra grandi scoperte teoriche e sperimentali. Oreste Piccioni ebbe un importante ruolo anche nella scoperta dell’antiprotone, come ricordarono Segrè e Chamberlain nel ricevere il premio Nobel. Ma il suo contributo di grande fisico sperimentale resta storicamente l’elegantissima misura che, studiando la reazione di scambio della carica in cui un protone e un antiprotone danno un neutrone e un antineutrone, dimostrò l’esistenza dell’antineutrone. La teoria di Dirac richiede che ogni particella abbia un partner di antimateria di massa uguale e carica elettrica opposta. Ogni particella ha la sua “anti”. I protoni sono composti da quark.
Analogamente gli antiprotoni sono composti da antiquark. In questo modo è possibile produrre la famiglia completa di antiparticelle. Vengono chiamate particelle di Dirac le particelle che hanno un complementare di antimateria. Nel 1937 il giovane fisico Ettore Majorana pubblicò il suo lavoro scientifico più famoso, Teoria simmetrica di elettroni e positroni, in cui si introduce l’ipotesi rivoluzionaria che il partner di antimateria di alcuni tipi di particelle siano loro stesse. Questo era in contraddizione con ciò che Dirac aveva proposto. Majorana suggerì che il neutrino, da poco introdotto da Pauli e Fermi per spiegare le caratteristiche del decadimento con elettroni di alcune sorgenti radioattive, fosse un esempio di particella capace di essere l’antiparticella di se stessa.

g.
Questa immagine, ottenuta nel 1958 nella camera a bolle di Berkeley, dimostra l’esistenza dell’antineutrone, l’antiparticella del neutrone. Nel punto segnato dalla freccia nera un antiprotone prodotto dall’acceleratore subisce una reazione di scambio della carica. L’antineutrone prodotto non lascia una traccia visibile, percorre una decina di centimetri prima di annichilare in una caratteristica stella di annichilazione. L’energia rilasciata è consistente con quella che ci si aspetta quando le massa a riposo di un neutrone e di un antineutrone vengono convertite in energia.
h.
L’esperimento Cuore presso i Laboratori del Gran Sasso dell’Infn, di cui qui vediamo una colonna, è un rivelatore modulare costituito da 1.000 cristalli di ossido di tellurio disposti in una matrice quadrata di 25 colonne, ciascuna delle quali contiene 40 cristalli di TeO2 di 5x5x5 cm3. Questi, a una temperatura di ca. 7-10 mK, molto vicino allo zero assoluto, fungono sia da rivelatore che da sorgente di 130Te. L’esperimento permetterà di studiare con grande sensibilità il decadimento raro, con due elettroni senza neutrino, del 130Te. La misura delle caratteristiche di questo decadimento senza neutrini indicherà se il neutrino è una particella di Majorana e aiuterà a spiegare l’asimmetria particella-antiparticella nell’Universo. L’osservazione di questo decadimento avrà sulla fisica, sull’astrofisica e sulla cosmologia un impatto molto profondo.

I neutrini non hanno carica, non necessariamente si comportano come i quark e gli elettroni e le altre particelle di Dirac. L’assenza di carica permette l’ipotesi che il neutrino e l’antineutrino siano la stessa particella. Ettore Majorana propose questa idea e una particella che coincide con la sua antiparticella viene chiamata particella di Majorana.
La scoperta della massa del neutrino ha messo questo tema in primo piano. Per ordinare il neutrino all’interno del modello teorico chiamato Modello Standard è necessario sapere se i neutrini sono particelle di Dirac o particelle di Majorana. Oggi, moderni e raffinati esperimenti sono tesi a chiarire questo particolare aspetto dei neutrini.
Dai primi lavori di Dirac sono trascorsi ottanta anni, l’idea dell’antimateria è ancora sorprendente e affascinante perchè l’Universo appare composto completamente di materia. L’antimateria sembra andar contro tutto ciò che sappiamo a proposito dell’Universo. L’Universo è completamente composto di materia anche se nel Big Bang sono state create quantità uguali di materia e antimateria. Perché?
Tutte le particelle di materia e antimateria dovrebbero essere annichilite lasciando solo fotoni, ma in qualche modo una piccolissima frazione della materia ha potuto sopravvivere per creare l’Universo come lo conosciamo.
È uno dei più grandi misteri della fisica moderna.

Biografia
Andrea Vacchi dirige la sezione di Trieste dell’Infn. È tra gli iniziatori dell’esperimento Infn Pamela per la ricerca di antimateria nei raggi cosmici. È direttore editoriale di Asimmetrie.


Link

http://nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1933/dirac-bio.html
http://www.upscale.utoronto.ca/GeneralInterest/Harrison/AntiMatter/AntiMatter.html

 

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