In una delle sequenze più iconiche e forse poetiche del film Interstellar, capolavoro di fantascienza di Christopher Nolan del 2014, il protagonista della storia, Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, e il suo fedele assistente Robot Tars riescono a raggiungere indenni la singolarità celata oltre l’orizzonte degli eventi del buco nero Gargantua. L’impresa, accidentale e del tutto insperata, consentirà ai nostri di raccogliere e trasmettere sulla Terra i dati necessari per comprendere appieno e per imbrigliare la gravità, fornendo così all’umanità i mezzi per abbandonare una Terra ormai morente.
Le disavventure di Cooper, che esce dal buco nero superando l’invalicabile barriera del suo orizzonte degli eventi, grazie alle licenze narrative del regista in un film altrimenti molto accurato dal punto di vista scientifico – anche e soprattutto per merito della consulenza offerta dal premio Nobel per la fisica Kip Thorne (vd. Loro siamo noi.) – , ci pongono di fronte alla suggestiva ipotesi che la gravità possa manifestarsi in modi non previsti dalla relatività generale, un’eventualità in contrasto con le nostre attuali conoscenze.
Almeno fino a oggi, il magnifico costrutto teorico elaborato da Einstein all’inizio del XX secolo ha infatti brillantemente superato ogni test volto alla sua verifica, tanto da far sembrare remota la possibilità che nuove evidenze riescano a intaccarne la validità. Nonostante ciò, la fisica non ha mai smesso di proporre modelli teorici in grado di estendere o integrare la capacità descrittiva della relatività generale, nel tentativo di risolvere le fondamentali e annose questioni ancora aperte nel campo della cosmologia e della meccanica quantistica, come quelle che concernono l’esistenza e la natura di materia ed energia oscura, l’osservazione dell’espansione accelerata dell’universo e la necessità di conciliare la teoria quantistica dei campi con la teoria del campo gravitazionale. È questo il caso di un’ampia classe di teorie, definite “scalar-tensoriali”, che, partendo dalla descrizione geometrica del campo gravitazionale einsteiniano, determinato dalla massa, e quindi dall’energia – equivalenti secondo la teoria della relatività –, assumono l’esistenza di un ulteriore campo fondamentale, di tipo scalare, accoppiato alla gravità, la cui influenza potrebbe contribuire alla curvatura dello spaziotempo.
È questo il quadro teorico da cui prende le mosse un articolo apparso oggi, 10 febbraio, su Nature Astronomy pubblicato da ricercatori associati all’Infn del Gran Sasso Science Institute , della Sapienza Università di Roma e della Sissa (partecipanti all’Iniziativa Specifica Infn Teongrav), insieme a colleghi dell’Università di Nottingham. Per verificare l’esistenza di un simile campo gravitazionale scalare, lo studio suggerisce un approccio basato sull’analisi della forma delle onde gravitazionali generate da fenomeni di coalescenza di buchi neri supermassicci, come quello presente nel centro della Via Lattea, e corpi secondari compatti ma molto più leggeri. La rivelazione di questi eventi sarà tra gli obiettivi di Lisa, missione Esa-Nasa che punta a realizzare entro il 2037 un imponente interferometro spaziale composto da una costellazione di tre sonde distanti tra loro milioni di chilometri. Nell’ambito dell’avveniristico progetto Lisa, guidato da un consorzio scientifico internazionale, un ruolo fondamentale è svolto dall’Infn, responsabile del supporto alle attività di costruzione delle tre sonde.
La nascita dell’astronomia gravitazionale, che coincide con la scoperta delle prime perturbazioni dello spaziotempo osservate dalle collaborazioni Ligo e Virgo nel settembre 2015, non ha semplicemente segnato l’ultimo successo, in ordine di tempo, della teoria della gravitazione di Einstein: la sua importanza risiede soprattutto nell’aver reso accessibile l’informazione trasportata dalle onde gravitazionali, aprendo una finestra su fenomeni e sorgenti astrofisiche diversamente insondabili, che rappresentano un laboratorio unico per la verifica delle relatività generale o di deviazioni dalle previsioni di quest’ultima. Nel prossimo futuro, l’avvento di una nuova generazione di interferometri, tra cui Lisa, consentirà quindi di ampliare ulteriormente il novero delle categorie di sorgenti astrofisiche estreme osservabili, andando a caratterizzare fenomeni come gli Extreme Mass Ratio Inspirals (Emri), che potrebbero costituire proprio il banco di prova dei modelli alternativi alla relatività generale, che prevedono l’esistenza di campi fondamentali associati all’interazione gravitazionale. “Gli Emri, sistemi binari in cui un oggetto compatto con massa stellare – un buco nero o una stella di neutroni – orbita attorno a un buco nero milioni di volte più massivo del nostro Sole, sono infatti tra le sorgenti che ci si aspetta di osservare con Lisa, e rappresentano un’arena preziosissima per studiare il regime di campo forte della gravità”, spiega Andrea Maselli, ricercatore del Gssi, associato Infn e primo autore del paper pubblicato su Nature Astronomy. “Il corpo più piccolo di un Emri compie decine di migliaia di cicli orbitali prima di cadere nel buco nero supermassiccio, emettendo così segnali di lunga durata che permettono di misurare anche le più piccole deviazioni dalle predizioni della teoria di Einstein e del modello standard delle particelle”.
Il metodo adottato dagli autori dello studio per misurare l’entità di un campo scalare, identificato da una carica associata al più piccolo dei due corpi di un sistema binario Emri, è basato sullo sviluppo di un nuovo e sofisticato metodo teorico per la modellizzazione delle onde gravitazionali, che ci si aspetta Lisa osserverà, che integra nel range di contributi attesi quelli forniti da un eventuale campo scalare.
Il risultato di tale procedura consentirà di distinguere tra i segnali gravitazionali emessi in relatività generale e in presenza di un campo scalare fondamentale. “Il risultato”, illustra uno degli autori dello studio, Paolo Pani, associato Infn e professore alla Sapienza Università di Roma, “è stato ricavato estendendo il metodo standard oggi impiegato con successo per modellizzare le onde gravitazionali emesse dagli Emri, che si basa direttamente sulla soluzione delle equazioni della relatività generale, con l'aggiunta degli effetti legati al campo scalare. Questi ultimi dipendono dalla carica scalare che i buchi neri e altri oggetti compatti avrebbero in una grande classe di teorie. In questo modo è quindi possibile porre dei vincoli alle estensioni della relatività generale a partire dalle future osservazioni di Lisa, oppure perfino riuscire a misurare la carica scalare in caso una di queste teorie si dimostrasse corretta”.
“L’osservazione di una componente scalare dell’interazione gravitazionale potrebbe avere ripercussioni profonde non solo sulla teoria della relatività generale, ma anche sul modello standard delle particelle elementari e sul modello cosmologico standard”, aggiunge Leonardo Gualtieri, ricercatore associato all’Infn, professore della Sapienza e autore dello studio. “Un campo scalare accoppiato alla gravità potrebbe fornire una spiegazione all’espansione accelerata dell’universo o alla velocità di rotazione anomala delle galassie, senza dover assumere che queste siano dovute all’energia o alla materia oscura. Inoltre, nuovi campi fondamentali associati all’interazione gravitazionale potrebbero essere la manifestazione di bassa energia di una descrizione unificata della gravità e della meccanica quantistica”.
Lisa potrebbe perciò rivoluzionare il nostro modo di descrivere e concepire l’universo (vd. Sinfonia cosmica). Per farlo, trasferirà nello spazio le soluzioni adottate dall’interferometria, utilizzando tecnologie appositamente sviluppate per lo scopo, in grado di incrementare la sensibilità verso segnali gravitazionali a basse frequenze, attualmente non rivelabili attraverso interferometri come Virgo e Ligo. Un tale aumento delle performance sarà inoltre reso possibile dalla configurazione delle sonde che comporranno la costellazione di Lisa, posizionate ai vertici di un triangolo equilatero di lunghezza pari 2,5 milioni di chilometri, e dall’ambiente spaziale in cui opererà, posizionato in un’orbita eliocentrica a 150 milioni di chilometri dal Sole (1 unità astronomica), privo di quel rumore sismico e antropico con cui devono fare i conti gli interferometri sulla Terra. Allo sforzo scientifico e tecnologico necessario per portare a compimento un progetto così ambizioso l’Infn ha partecipato e partecipa con un ruolo di primo piano. L’Infn supporta infatti, fin dalla missione Esa-Nasa Lisa Pathfinder, volta a verificare le soluzioni tecnologiche che saranno adottate, lo studio e la realizzazione delle masse rivelatrici delle onde gravitazionali di cui saranno dotate le sonde di Lisa (due per ogni veicolo) e dell’hardware a queste legate.
Grazie alle sue caratteristiche, Lisa potrebbe non solo fare luce su buchi neri di milioni di masse solari presenti nel centro delle galassie, ma anche scoprire l’esistenza di un fondo cosmico di onde gravitazionali prodotto nei primissimi istanti di vita dell’universo. In definitiva, la missione tenterà di svelare i misteri della gravità senza bisogno di dover aspettare lo sfortunato viaggio di un’astronauta all’interno di un buco nero. [Matteo Massicci]