[as] intersezioni
Il seme del caos
di Marco Malvaldi
chimico e scrittore
Nel 1842 uscì a puntate, su un giornale femminile, “The Ladies’ Companion”, la seconda avventura del cavalier Dupin, “Il mistero di Marie Rôget”, nel quale il geniale investigatore nato dalla penna e dalla bottiglia di Edgar Allan Poe si occupa dell’assassinio di una bella giovane parigina, Marie Rôget, il cui cadavere viene trovato lungo l’argine della Senna. Nel racconto di Poe, Dupin, geniale investigatore armato di spirito di osservazione, di una logica ferrea e di uno stile di ragionamento matematico che alterna induzione e deduzione, osserva come una indagine possa condurre a conclusioni completamente diverse a seconda che un piccolo dettaglio, apparentemente insignificante, sia trascurato o compreso nell’analisi. Le parole di Poe, tramite Dupin, sono queste:
“Perché riguardo alla seconda parte della supposizione, bisogna ricordare che la differenza più insignificante fra i fatti dei due casi potrebbe provocare errori importantissimi, facendo divergere profondamente le due serie di avvenimenti; proprio come nell’aritmetica un errore che di per sé non avrebbe importanza produce alla fine, a forza di moltiplicarsi nei vari passaggi del calcolo, un risultato enormemente diverso da quello giusto”.
L’osservazione di Dupin è, a tutti gli effetti, una perfetta descrizione della prima caratteristica di ogni sistema caotico che si rispetti: la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali. Se cambio il punto di partenza di una virgola, di un niente, di una quantità che potrebbe essere impercettibile all’occhio umano o alle strumentazioni, lo sviluppo futuro di un sistema caotico può divergere in maniera imprevedibile.
Edgar Allan Poe, come fanno molti matematici, si occupa di un sistema modello, che esiste solo sulla carta: una giovane francese che abita a Parigi e le cui caratteristiche note ricordano, molto da vicino, quelle di Mary Rogers. E lavorando di fantasia su quello, cerca di scoprire la verità. La stessa cosa che farà, qualche decennio più tardi, un altro signore che guarda caso vive a Parigi e che guarda caso è un matematico, proprio come Auguste Dupin e come il ministro D., il protagonista de “La lettera rubata”. Il suo nome è Henri Poincaré.
La storia del caos riprende nel 1885, quando Poincaré partecipa al concorso bandito dal re Oscar II di Svezia & Norvegia destinato al solutore di un importante problema matematico, il cosiddetto problema degli N corpi: la risoluzione delle equazioni del moto di un numero arbitrario di corpi che si attraggono secondo la legge della gravità di Newton.
Jules-Henri Poincaré (1854-1912), matematico, fisico e filosofo, è stato uno degli ultimi scienziati universali. Con le sue ricerche sul problema dei tre corpi ha aperto la strada alla teoria del caos.
Il problema è un vero problema, perché non è risolubile. Se il sistema fisico consiste di due corpi, sappiamo risolverlo in maniera completa; ma se i corpi sono tre, non abbiamo la minima speranza di trovare una soluzione completa. È una specie di koan buddista: analizzandolo, approssimandolo, ragionandoci si possono trovare molte soluzioni interessanti a problemi che ci angustiano davvero. E Poincaré una soluzione interessante la trova, e la invia alla Augusta Commissione. Il trattato è geniale, elegante, e convincente, e Poincaré vince il premio. Denari, onori, e la pubblicazione. Andrebbe tutto bene, se non fosse per il correttore di bozze.
Il correttore si chiama Edvard Phragmén, è un matematico e non trova le dimostrazioni. Certo che non le trova: non ci sono. Poincaré molto spesso andava a intuito, se una cosa gli suonava possibile, era vera, la scrivo come teorema e basti lì. Per cui, nella rilettura delle bozze e nella dolorosa pratica di dover dimostrare le proprie asserzioni, Poincaré trova un errore. Un errore nel suo ragionamento, che però gli fa venire in mente una nuova teoria. In seguito a un errore, coerentemente, nasce il caos.
Un sistema caotico ha due caratteristiche: la prima è la cosiddetta “dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali”; la seconda è che, se si aspetta un tempo abbastanza lungo, il sistema tornerà in una situazione arbitrariamente vicina a quella di partenza. Non sappiamo quanto tempo ci voglia, ma solo che prima o poi succederà. Fu questo concetto il contributo decisivo di Poincaré: le cose si ripetono, simili ma non uguali, se si aspetta abbastanza a lungo – ma non sappiamo quanto a lungo.
Poe raccontava storie di persone; Poincaré studiava l’evoluzione dei pianeti. Entrambi si occupavano di entità inesistenti, personaggi fittizi che incarnavano signorine e signori reali, o pianeti puntiformi e perfetti, platonici ma ben lontani dall’essere prevedibili. Entrambi, in realtà, non si occupavano di oggetti singoli, ma di capire le relazioni fra gli oggetti. Cercavano di capire gli eventi, ovvero cosa fanno due o più oggetti se combinati insieme. Non cercavano di capire cosa capita agli oggetti, ma cosa deve fare il nostro cervello per prevedere il loro futuro.
E, a proposito di cervello, non so se Poincaré abbia mai letto Poe. Di sicuro era un avido lettore, e di sicuro negli anni ’80 dell’800 Poe era popolarissimo a Parigi. Magari lo ha letto lui stesso, magari qualcuno dei suoi amici gliene ha parlato. Di sicuro, in vari articoli, Poincaré usa gli stessi esempi di Poe. Non so: forse, senza il racconto di Poe, la teoria del caos sarebbe nata ugualmente, o forse no. A me piace pensare di no, e anzi ne sono fermamente convinto.