Una recente indagine sulla composizione chimica e sulla concentrazione del particolato atmosferico artico ha evidenziato come l’Artide, l’area del globo più soggetta agli effetti del cambiamento climatico, sia contraddistinto da una sostanziale equivalenza tra l’abbondanza di aerosol organici di origine naturale rilevati nel periodo estivo e la quantità di aerosol organici di origine antropica riscontrati nella stagione invernale. Condotto da un gruppo internazionale di ricercatori, lo studio, pubblicato il 28 febbraio sulla rivista Nature Geocience, ha visto il contributo del Laboratorio di Tecniche Nucleari per l’Ambiente e i Beni Culturali (Labec) dell’Infn di Firenze. Lo studio si basa sulla caratterizzazione, dei componenti di campioni artici raccolti dal 2014 al 2019 in ben 8 stazioni artiche posizionate a latitudini diverse: l’analisi di un set di campioni relativo a un periodo così esteso, che si è avvalsa anche di metodi spettrometrici, ha perciò consentito di disegnare un quadro accurato delle concentrazioni, delle tipologie e delle sorgenti di aerosol organici presenti nell’area artica. Un risultato che contribuirà al miglioramento delle previsioni dei modelli climatici.
Alla luce della dimostrata capacità del particolato atmosferico di incidere sul bilancio tra radiazione solare assorbita ed emessa dalla Terra (bilancio radiativo netto) attraverso meccanismi diretti e indiretti, le ricerche dedicate alla caratterizzazione dei costituenti degli aerosol, siano essi organici o antropici, sono oggi di particolare rilevanza. Nello specifico, lo studio di Nature Geoscience, che si inserisce in questa linea di ricerca, fornisce importanti risultati sulle sorgenti di aerosol organici, fino ad oggi poco investigati e con un’importanza crescente in un ambiente, come quello artico, che si sta surriscaldando a un ritmo doppio rispetto alle altre regioni del globo.
“Gli effetti dell’aerosol”, spiega Giulia Calzolai, ricercatrice della sezione Infn di Firenze e tra le autrici dell’articolo, “dipendono da proprietà quali la dimensione delle particelle, la composizione chimica, le proprietà ottiche e le concentrazioni in aria, importanti da studiare per comprendere il loro contributo al cambiamento climatico. Inoltre, diversamente da quanto avviene per i gas, il particolato mantiene l’“impronta” composizionale delle sorgenti di emissione anche a seguito della sua diffusione e trasporto in altre aree, e ciò rende quindi possibile, attraverso l’uso di opportuni modelli, individuare le sorgenti e quantificarne l’impatto.”
Le caratteristiche del particolato atmosferico e la sua bassa concentrazione nell’area artica, lo rendono particolarmente adatto per essere analizzato mediante le tecniche nucleari con acceleratore applicate nel laboratorio Labec dell’Infn, specializzato in indagini ambientali e sul patrimonio artistico. “Le tecniche utilizzate dal Labec”, illustra Giulia Calzolai, “in particolare la Pixe (Particle Induced X-ray Emission), permette di ottenere informazioni sulla composizione del campione in modo rapido, estremamente sensibile e senza pretrattamento del campione, minimizzando la possibilità di contaminazioni. La Pixe si basa sulla rivelazione di raggi X emessi dal campione in seguito all’interazione con un fascio di particelle accelerate.”
Impegnato da diversi anni nella ricerca sul particolato atmosferico in aree polari in collaborazione con altri enti tra cui l’Università di Firenze e il Cnr, il Labec ha progetti attivi presso il villaggio di ricerca di Ny-Alesund (Svalbard) e in Antartide, nella base di Dome C. L’infn ha finanziato lo studio, la progettazione, e la realizzazione di un set-up di fascio presso l’acceleratore Tandem del Labec espressamente dedicato alle misure Pixe. Grazie ai risultati ottenuti, il Labec è attualmente all’avanguardia nell’analisi del particolato atmosferico ed è parte dell'European Centre for Aerosol Calibration (Ecac) e della Aerosols, Clouds and Trace gases Research Infrastructure (Actris). [Matteo Massicci]