Illuminando la materia
Fotoni virtuali e reali nella fisica delle particelle
di Massimo Corradi ed Elisabetta Gallo

Sin dai tempi dei filosofi greci l’uomo cerca di capire di cosa sia fatta la materia che lo circonda. Nella fisica moderna, uno dei metodi più fruttuosi per esplorare la struttura della materia alle scale più piccole è quello di “sparare”, con macchine dedicate chiamate acceleratori di particelle, particelle elementari elettricamente cariche, per esempio elettroni, contro campioni di materia. Lo scontro può avvenire attraverso lo scambio di un fotone virtuale, che permette, in un certo senso, di “vedere” l’interno della materia (vd. approfondimento "Luce virtuale"). Il primo successo di questa tecnica fu la scoperta del nucleo dell’atomo. Nel 1910 Hans Geiger e Ernest Marsden spararono particelle alfa, ovvero particelle cariche prodotte nei decadimenti radioattivi, contro una lamina d’oro. Grazie a questi urti, che oggi descriviamo come mediati da uno scambio di fotoni virtuali, Ernest Rutherford capì che doveva esserci un oggetto di dimensioni molto più piccole di quelle dell’atomo, ma che ne conteneva quasi tutta la massa: il nucleo.
a.
L'acceleratore Hera del laboratorio Desy di Amburgo: un anello con una circonferenza di 6,3 km capace di far collidere protoni con elettroni per esplorare la struttura dei protoni fino a scale di dimensioni di 10-15 mm (un milionesimo di miliardesimo di mm).
[as] approfondimento
Luce virtuale

 


1.
Rappresentazione grafica di collisioni elettrone-protone. L'elettrone emette un fotone virtuale che va a colpire il protone. Per piccoli valori di Q (a sinistra) il fotone non distingue nessuna struttura all'interno del protone. A Q intermedio (al centro) sono visibili i tre quark, detti "di valenza". All'aumentare di Q (a destra) appaiono nuove strutture, con i quark che emettono gluoni (rappresentati da molle), i quali a loro volta si trasformano in coppie formate da un quark e dalla rispettiva antiparticella, l'antiquark.

Per capire come è fatta la materia al suo interno, i fisici studiano le collisioni tra elettroni e protoni di altissima energia, analizzando l'energia e la direzione degli elettroni che emergono dall'urto. La collisione tra un elettrone e un protone avviene attraverso lo scambio di un fotone virtuale, cioè un fotone con massa diversa da zero, che può esistere per tempi brevissimi grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg. I fotoni virtuali sono caratterizzati da una grandezza (indicata con Q) che è una misura della "durezza" dell'urto, cioè dell'energia e della quantità di moto perduta dall'elettrone nell'urto con il protone. La capacità di vedere ovvero, come dicono i fisici, di risolvere strutture piccole all'interno del protone è inversamente proporzionale a Q. Come è illustrato nella fig. 1, per piccoli valori di Q il protone viene visto come un unico oggetto. All'aumentare di Q e quindi della capacità del fotone virtuale di risolvere dettagli sempre più piccoli, il protone appare composto da tre quark. A valori di Q ancora più grandi viene rivelata una gran quantità di altri costituenti: gluoni e coppie formate dai quark e dalle loro antiparticelle (gli antiquark), che trasportano ciascuno una piccola frazione dell'energia del protone. Questo aumento del numero di costituenti osservabili all'aumentare di Q è predetto con precisione dalla teoria Qcd. La densità dei costituenti del protone è stata misurata con grande precisione a Hera e ha portato a una verifica fondamentale della Qcd. La conoscenza della densità dei quark e dei gluoni all'interno del protone è inoltre importante per la comprensione dei risultati delle collisioni protone- protone all'acceleratore Lhc del Cern.
L’avvento di acceleratori di particelle sempre più potenti, in cui fasci di elettroni venivano sparati contro bersagli fissi, ha permesso di distinguere dettagli sempre più piccoli all'interno della materia. Fino agli anni '50 si pensava, ad esempio, che il protone, uno dei componenti del nucleo di un atomo, fosse una particella "elementare" ovvero puntiforme. Usando un acceleratore di elettroni del laboratorio Slac in California, Robert Hofstadter trovò invece che il protone ha un'estensione spaziale misurabile, con un raggio di circa un decimillesimo di miliardesimo di centimetro (10-13 cm). L'acceleratore lineare che entrò in funzione allo Slac nel 1967 portò a una nuova svolta nel campo della fisica delle particelle: la scoperta di oggetti puntiformi all'interno del protone, i quark. Successivamente vari esperimenti, effettuati ai laboratori Cern di Ginevra e Fermilab vicino Chicago, hanno studiato la struttura interna del protone usando come sonde non solo elettroni, ma anche altre particelle come muoni e neutrini. Un salto quantitativo nella capacità di distinguere strutture sempre più piccole si è ottenuto negli anni '90 con Hera (Hadron Elektron Ring Anlage), dove fasci di elettroni ad alta energia venivano fatti scontrare con protoni a loro volta accelerati. L'acceleratore Hera è rimasto in funzione per circa 15 anni, dal 1992 al 2007, presso il laboratorio Desy di Amburgo (Germania). Il contributo dell'Infn, consistente nella fornitura di metà dei magneti superconduttori usati per il fascio dei protoni, è stato fondamentale per la realizzazione dell'acceleratore. L'Infn ha anche partecipato alla costruzione e al funzionamento dei due esperimenti (H1 e Zeus), posti nei punti di collisione elettrone-protone, e dei due esperimenti (Hermes e Herab), che hanno studiato le collisioni su bersagli fissi. I fisici italiani sono ancora impegnati nell'analisi dei dati raccolti da Hera, che hanno portato a una visione più completa del protone e a una verifica dettagliata della teoria delle interazioni forti, la cromodinamica quantistica o Qcd, dall'acronimo inglese quantum-chromo-dynamics (vd. approfondimento "Luce virtuale"). Ma i quark sono oggetti elementari od oggetti dotati a loro volta di una struttura? Le misure a Hera ci dicono che i quark sono puntiformi o meglio che il loro raggio deve essere più piccolo di un millesimo del raggio del protone. I quark up e down presenti nel protone (e nel neutrone, l'altro componente del nucleo di un atomo) e l'elettrone rimangono quindi, al momento, i più piccoli mattoni di cui è composta la materia ordinaria. Non è però stata ancora detta l'ultima parola nel campo delle collisioni elettrone-protone. Si sta già progettando infatti una nuova macchina, chiamata Lhec (Large Hadron-Electron Collider), che dovrebbe sparare fasci di elettroni contro protoni accelerati alle altissime energie dell'acceleratore Lhc del Cern a Ginevra. In questo modo si potrebbero studiare strutture dieci volte più piccole di quelle esplorate finora (vd. fig. b).
[as] approfondimento
Fotoni contro fotoni

 


1.
Una coppia muone-antimuone di alta energia osservata dall'esperimento Zeus a Hera. A destra, la schermata che hanno analizzato i fisici, in cui sono visibili le tracce lasciate dal muone e dall'antimuone (indicate dai simboli μ- e μ+), mentre attraversano i rivelatori di particelle dell'apparato. L'origine di queste due particelle è la collisione tra due fotoni di alta energia, a loro volta emessi dagli elettroni e dai protoni accelerati da Hera (a sinistra).

I fotoni di alta energia non solo interagiscono con la materia, come quelli di bassa energia a cui siamo abituati (quelli della luce visibile), ma possono anche interagire tra loro generando altre particelle. Poiché un fotone può trasformarsi per tempi brevissimi in una coppia quark-antiquark, il suo comportamento è simile a quello di un adrone, una particella composta di quark e antiquark soggetta alle interazioni forti. Le collisioni fotone-fotone risultano quindi simili alle collisioni tra adroni (per esempio tra protoni in Lhc), con produzione di molte particelle e di getti di particelle di alta energia. Questo comportamento "adronico" del fotone è stato studiato in dettaglio a Hera e negli acceleratori in cui si facevano scontrare elettroni e positroni (cioè antielettroni), come per esempio al Lep del Cern. In alcuni casi però le collisioni tra fotoni sono molto diverse di quelle tra adroni: l'intera energia della collisione infatti può essere convertita in una coppia di particelle. Un esempio è la creazione di coppie muone-antimuone nelle collisioni fotone-fotone osservate a Hera (vd. fig. 1). L'accordo della misura sperimentale con la predizione teorica basata sui processi noti ha mostrato l'assenza di nuovi fenomeni alle energie esplorate. I rivelatori di muoni in Zeus, usati per questa misura, sono stati interamente costruiti e gestiti dall'Infn. Per il futuro esiste un progetto per sfruttare collisioni fotone-fotone generate in un acceleratore lineare per creare grandi quantità di bosoni di Higgs, particelle che fisici di tutto il mondo stanno cercando da anni.

b.
Storia del potere risolutivo dei fotoni virtuali usati come sonde nel corso degli anni.

Biografia
Marco Genovese Massimo Corradi è ricercatore presso la sezione Infn di Bologna ed è stato coordinatore della fisica dell'esperimento Zeus, di cui è responsabile nazionale. Collabora anche all'esperimento Atlas di Lhc.

Elisabetta Gallo è ricercatrice presso la sezione Infn di Firenze ed è stata responsabile della collaborazione Zeus. Attualmente partecipa all'esperimento Cms di Lhc.


Link

http://www-zeus.roma1.infn.it/index.html
http://www-zeus.desy.de/
http://www-h1.desy.de/

 

 

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