L’orientamento dell’asse intorno al quale i nucleoni, protoni e neutroni, ruotano su loro stessi, denominato spin, varia in virtù delle caratteristiche del campo magnetico a cui queste particelle sono soggette. Grazie allo studio di tale precessione del momento angolare, definita polarizzabilità, che dipende da una riorganizzazione della struttura interna dei costituenti atomici, è possibile fare luce sul modo in cui quark e gluoni, i mediatori della forza forte, interagiscono tra loro all’interno dei nucleoni. È questo l’obiettivo di E-97-110, esperimento ospitato presso il Jefferson Laboratory di Newport News, In Virginia, che vede un importante contributo dell’INFN, il cui ultimo risultato è stato pubblicato lo scorso 31 maggio sulla rivista Nature. Lo studio, che ha preso in esame le particelle prodotte a seguito dello scontro tra elettroni accelerati a basse energie e i neutroni bersaglio dell’esperimento, ha evidenziato come i valori delle polarizzabilità misurate differiscano da quelli previsti dalla cromodinamica quantistica (QCD) non perturbativa, la teoria di riferimento per la descrizione delle interazioni tra quark e gluoni alla scala dei nucleoni. Un risultato che potrebbe perciò indicare la necessità di rendere più accurati i modelli teorici che mirano a una rappresentazione accurata delle proprietà di protoni e nucleoni, particelle di cui è composto il 99% dell’intera massa dell’universo.
Le grandezze misurate da E-97-110 sono state le polarizzabilità generalizzate dello spin del nucleone, le quali sono in relazione diretta con la rotazione dello spin del neutrone attorno alla direzione determinata da variazioni esterne del campo elettromagnetico. Dalla precessione dello spin dipende inoltre la riorganizzazione della distribuzione dei quark e gluoni nel neutrone, che è rivelata mediante il campo elettromagnetico generato all’interno del neutrone stesso. Per determinare tali parametri, l’esperimento impiega elettroni polarizzati, ovvero con spin orientato lungo una precisa direzione, prodotti dall’acceleratore CEBAF del Jefferson Lab, che vengono fatti scontrare con un bersaglio di neutroni anch’essi polarizzati. Il compito di studiare le particelle prodotte a seguito dell’urto è affidato ai due spettroscopi di grandi dimensioni. Per studiare il sistema (il neutrone) alla scala spazio-temporale corretta, l’angolo di diffusione delle particelle prodotte dalla interazione del fascio di elettroni con il bersaglio di neutroni deve essere più piccolo di quello minimo ottenibile dagli spettrometri della sala A del Jefferson Lab (12.5o), in cui è ospitato l’apparato. È stato quindi necessario costruire dipoli magnetici che hanno consentito di rivelare particelle ad angoli fino a 6°. “In questo modo”, spiega Franco Garibaldi, ricercatore dell’esperimento e co-portavoce della collaborazione responsabile di E-97-110, “siamo stati in grado di sondare il bersaglio a distanze dell’ordine di grandezza delle dimensioni del neutrone.”
A causa della loro complessità, le equazioni della QCD, pur rimanendo valide per la descrizione di fenomeni in cui le distanze tra quark sono ridotte, non possono essere risolte per particelle come protoni e neutroni, in cui le distanze tra i quark possono assumere valori relativamente grandi. In questi casi si ricorre quindi alla teoria non perturbativa, che rappresenta il limite della QCD a grandi distanze. Tuttavia, i dati sperimentali raccolti da E-97-110 divergono dai calcoli basati su quest’ultima e sembrano indicare l’incompletezza delle teorie oggi di riferimento per la descrizione delle proprietà del neutrone e dei nucleoni più in generale. “Il marcato disaccordo”, illustra Garibaldi, “lascia molto perplessi perché le nostre misure sono state eseguite proprio nel dominio i cui la teoria perturbativa dovrebbe descrivere in modo affidabile le proprietà del nucleone. C’è molto ancora da capire sulla struttura dei nucleoni, e questo esperimento ha dimostrato la mancanza di una descrizione realistica quantitativa dell'interazione forte, la forza responsabile del legame tra i quark all’interno dei nucleoni, alla scala spaziale di queste particelle.”
Oltre alla partecipazione diretta dei propri ricercatori alla collaborazione E-97-110, L’INFN ha svolto un ruolo centrale nella costruzione dell’esperimento, attraverso la realizzazione due sofisticati dipoli magnetici con bobine superconduttrici, grazie ai quali è stato possibile posizionare i due spettrometri magnetici della sala A del Jefferson Lab un angolo tale da consentire di studiate il neutrone alla scala spazio-temporale giusta. [Matteo Massicci]