Nel settore dedicato allo studio dei costituenti ultimi della materia, la possibilità di scoprire nuove particelle o forze è indissolubilmente legata a un continuo e proficuo scambio di informazioni tra pratica teorica e sperimentale. Adattando in questo contesto la celebre frase sulla relatività generale del fisico statunitense John Wheeler: i teorici dicono agli sperimentali cosa cercare; gli sperimentali indicano ai teorici cosa cambiare. La conquista di nuove conoscenze riguardanti il mondo subatomico può perciò essere ottenuta a seguito della conferma in laboratorio di previsioni teoriche o attraverso l’individuazione sperimentale di fenomeni in contrasto con le indicazioni della teoria, che, mostrandone l’incompletezza, aiutano gli scienziati a elaborare ipotesi con un sempre maggiore potere descrittivo. Un approccio, quest’ultimo, perseguito dall’esperimento Muon g-2 del Fermi National Accelerator Laboratory (FermiLab), di Batavia, vicino Chicago, i cui primi risultati sono stati pubblicati il 7 aprile sulla rivista Pyisical Review Letter. Grazie a una accurata misura del cosiddetto momento magnetico anomalo del muone – una particella elementare appartenente alla famiglia dei leptoni, molto simile all’elettrone ma con una massa circa 200 volte maggiore -, la collaborazione internazionale responsabile di Muon g-2, di cui l’INFN è uno dei principali membri, ha infatti fornito nuove evidenze a favore dell’esistenza di una discrepanza con le previsioni del modello standard, l’imponente edificio teorico per mezzo del quale oggi descriviamo la natura delle particelle subatomiche e il loro comportamento. Il risultato, al limite della scoperta, se confermato, potrebbe quindi aprire una finestra su una classe di fenomeni fisici ancora sconosciuti e fornire indicazioni preziose per riuscire a migliorare la teoria, confermando così l’efficacia del continuo gioco di rimandi tra ipotesi e prove sperimentali che contraddistingue il progresso nell’ambito della fisica delle particelle e della scienza tutta.
L’attuale misura di Muon g-2 raggiunge da sola una significatività statistica di 3,3 sigma, e permette di arrivare a 4,2 sigma se combinata con i dati ottenuti dall’esperimento predecessore di Muon g-2 del Brookhaven National Laboratory (New York) conclusosi nel 2001. Quindi il risultato, nonostante non consenta di escludere la presenza di fluttuazioni statistiche e pertanto non sia sufficiente per affermare la scoperta (per ottenere la quale è necessaria una significatività statistica di 5 sigma), rappresenta un importante ed entusiasmante possibile indizio della presenza di forze o particelle ancora sconosciute.
“La misura di altissima precisione che abbiamo ottenuto con il nostro esperimento era da lungo tempo attesa da tutta la comunità internazionale della fisica delle particelle”, afferma Graziano Venanzoni co-portavoce dell’esperimento Muon g-2 e ricercatore della Sezione INFN di Pisa, “e rappresenta un importante aggiornamento di evidenze relative a una anomalia nel comportamento magnetico del muone riscontrate già a partire dagli ’60 del secolo scorso. Un successo in buona parte merito dei giovani ricercatori i quali, con il loro talento, idee ed entusiasmo, hanno consentito di ottenere questo primo importante risultato."
"È un risultato che, in attesa delle analisi sui vari set di dati acquisiti recentemente dall’esperimento e su quelli che verranno raccolti nel prossimo futuro, ci offre già un possibile spiraglio verso una nuova fisica." aggiunge Marco Incagli, della sezione INFN di Pisa, responsabile nazionale del progetto. "Anche l’INFN può ritenersi orgoglioso di questa impresa, avendo svolto un ruolo determinante nell’esperimento.”
Generati naturalmente nell’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre, i muoni vengono prodotti artificialmente in gran numero dal sistema di acceleratori del Fermilab e iniettatati all’interno dell’anello di accumulazione magnetico superconduttore, del diametro di 15 metri, dove vengono fatti circolare migliaia di volte con velocità prossima a quella della luce. Nell’esperimento, le proprietà magnetiche dei muoni, che determinano il loro accoppiamento con le altre particelle, vengono quindi studiate a partire dalla misura della variazione del loro asse di rotazione rispetto alla direzione del moto.
Al pari dei loro più stretti parenti, gli elettroni, i muoni sono dotati di spin e possiedono un momento magnetico. Il Modello Standard prevede che il momento magnetico del muone sia proporzionale allo spin tramite un fattore numerico calcolabile (g) e che quest’ultimo sia leggermente diverso da 2. “La differenza percentuale rispetto a 2 del fattore giromagnetico è definita anomalia magnetica del muone (a), ed esprime con il suo valore l'effetto delle fluttuazioni quantistiche del vuoto.” precisa Sultan Dabagov, dei Laboratori Nazionali di Frascati. Infatti, mentre circolano nell’anello di accumulazione in cui è praticato il vuoto, i muoni interagiscono con le particelle virtuali che nel vuoto quantistico compaiono e scompaiono continuamente. Le interazioni con queste particelle di brevissima durata influenzano il valore del fattore g, facendo accelerare o rallentare leggermente la precessione dello spin. Il risultato dell’esperimento Muon g-2, ottenuto grazie al primo set di dati raccolti da Muon g-2 (run 1), ha confermato in modo importante lo scostamento tra previsione teorica e misura sperimentale e rappresenta un importante passo verso la scoperta di particelle o forze sconosciute.
La carica e il momento magnetico che contraddistinguono il muone fanno si che, in movimento, quest’ultimo ruoti se immerso in campo un magnetico. Se il fattore giromagnetico g del muone fosse esattamente 2 ad ogni rotazione del vettore velocità corrisponderebbe un’uguale rotazione dello spin, invece lo spin sopravanza ed in particolare, all’interno dell’esperimento Muon g-2, ruota di circa 12° in più per giro. Per misurare con precisione il fattore giromagnetico del muone c’è perciò bisogno di acquisire dati altrettanto accurati sull’oscillazione dello spin di questa particella. Un compito reso particolarmente complicato dall’instabilità del muone, che decade con una vita media che dipende dalla sua velocità. "Oltre a un neutrino e un antineutrino”, spiega Michele Iacovacci, ricercatore della collaborazione Muon g-2 e della Sezione INFN di Napoli “il decadimento produce un positrone che viene emesso preferenzialmente lungo la direzione dello spin del muone. L’esperimento Muon g-2 misura dunque gli elettroni di decadimento e da questi estrae il profilo di oscillazione dello spin."
Per fare ciò, i 24 calorimetri di cui è dotato l’esperimento misurano l'energia dei positroni ed il tempo intercorso fra l'ingresso del fascio e l'istante in cui colpiscono il rivelatore. A causa del decadimento esponenziale dei muoni, la frequenza di arrivo sui calorimetri varia da molti milioni fino a poche centinaia al secondo. "Per mantenere una risposta stabile nel tempo con queste variazioni di flusso è richiesta una calibrazione continua dei calorimetri, ovvero l’iniezione di segnali di riferimento che ne garantiscano la stabilità di risposta attraverso impulsi laser." dice Carlo Ferrari, dell'Istituto Nazionale di Ottica (INO-CNR) di Pisa, che, insieme ai colleghi Andrea Fioretti e Carlo Gabbanini, e grazie alla competenza specifica nel campo dei laser, ha contribuito alla installazione del sistema ottico finanziato dall'INFN, consentendo a tale sistema di raggiungere prestazioni molto più spinte rispetto ai sistemi equivalenti usati in altri esperimenti di alte energie.
"I calorimetri devono mantenere una stabilità di 1 parte su 10000 pertanto la sorgente laser deve essere monitorata continuamente in maniera accurata." afferma Diego Cauz dell'Università di Udine, associato al gruppo collegato di Udine dell'INFN presso i cui laboratori è stato sviluppato il sistema di controllo della sorgente. Questa capacità di controllo, insieme all'utilizzo di una sofisticata elettronica di gestione dei segnali che il gruppo italiano ha portato in dote all’esperimento Muon g-2, ha consentito di ridurre l’incertezza della precedente misura effettuata presso il Brookhaven National Laboratory (New York) e di ottenere una precisione di 150 parti per miliardo. Come dire misurare la distanza Terra-Luna con un’incertezza di 60 metri.
Insieme allo sviluppo e alla realizzazione del sistema di calibrazione laser, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Ottica del CNR, l’INFN ha svolto e continua a svolgere un ruolo centrale all’interno della collaborazione Muon g-2, composta da 200 scienziati provenienti da 35 istituzioni di 7 diversi paese. “L’INFN, insieme al gruppo statunitense, è tra i soci fondatori della collaborazione e ha partecipato alla progettazione dell’esperimento sin dal 2009. Oltre a vantare una delle delegazioni più numerose, che conta più di 30 scienziati delle sezioni di Trieste, Udine, Pisa, Roma Tor Vergata, Napoli e dei Laboratori Nazionali di Fracsati, l’INFN ha un ruolo di responsabilità nella analisi dati dell’esperimento, che sta attualmente effettuando il run 4 di presa dati, e per cui è previsto anche un run 5”, conclude Giovanni Cantatore della Sezione INFN di Trieste, membro della collaborazione Muon g-2. [Matteo Massicci]