Uno studio pubblicato oggi su Nature Astronomy risolve un rompicapo su cui gli astrofisici si arrovellano da anni, i meteoriti contengono granelli di polvere cosmica la cui composizione appariva in contraddizione con alcune importanti previsioni scientifiche. La questione pur concentrandosi su misure di estrema precisione ha implicazioni ben vaste perché i granelli di polvere cosmica sono i testimoni delle fasi di formazione del nostro sistema solare. La ricerca riporta i risultati ottenuti dall’esperimento Luna ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn.
Luna, il cui obiettivo è studiare le reazioni di fusione termonucleare che avvengono nel cuore delle stelle, è l’unico acceleratore al mondo installato in un laboratorio sotterraneo schermato dai raggi cosmici. Circa 4,5 miliardi di anni fa, i granelli di polvere cosmica, nati nel cuore delle stelle e poi dispersi nell’universo, cominciarono, sotto la, spinta della gravità, ad aggregarsi e a formare i pianeti del nostro Sistema Solare. Una piccola parte di questa polvere è arrivata fino a noi intatta, intrappolata nei meteoriti: una sorta di fossile che conserva la composizione originaria. Le osservazioni astronomiche tramite telescopi a infrarossi indicano che la produzione, in grandi quantità, di polvere cosmica avviene nelle stelle, in particolare quelle con massa pari o superiore a circa 6 volte quella del nostro Sole. L’esplosione di queste stelle, nelle fasi finali della loro vita, disperde nel cosmo il materiale che costituisce appunto la polvere cosmica. Le analisi su questi granelli hanno però dato risultati in contraddizione con le previsioni dei modelli stellari. Infatti, gli scienziati si aspettavano di trovare nelle polveri cosmiche un elevato contenuto di ossigeno 17 (un raro isotopo dell’ossigeno, mille volte meno abbondante dell’usuale ossigeno-16) che invece risultava inspiegabilmente presente solo in concentrazioni bassissime. Un rompicapo a cui la ricerca pubblicata su Nature Astronomy ha dato finalmente una soluzione.
“Luna ha osservato che la probabilità che si inneschi una reazione di fusione nucleare tra nuclei di idrogeno e ossigeno-17 è doppia rispetto a ciò che si pensava ”, commenta Paolo Prati, che coordina l’esperimento Luna. “Ciò implica che l’ossigeno-17 viene rapidamente distrutto già all’interno delle stelle di origine, e quindi nella polvere cosmica si ritrova solo in bassissime concentrazioni. Ecco perché all’interno dei meteoriti giunti fino noi non si reperisce nelle quantità inizialmente attese: si può così finalmente essere certi che questi fossili celesti sono i testimoni autentici delle fasi convulse di formazione del sistema solare e della Terra”, conclude Prati.
Luna è una collaborazione internazionale di circa 40 ricercatori tra italiani, tedeschi, scozzesi e ungheresi, cui partecipano l’Infn e il Gssi, per l’Italia, l’Helmholtz-Zentrum Dresden-Rossendorf per la Germania, l’Hungarian Academy of Sciences – Institute for Nuclear Research (Mta-Atomki), per l’Ungheria, la School of Physics and Astronomy dell’Università di Edimburgo, per il Regno Unito. In Italia collaborano all’esperimento i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn, le sezioni Infn e le università di Bari, Genova, Milano, Napoli, Padova, Roma La Sapienza, Torino e l’Osservatorio Inaf di Teramo. [Eleonora Cossi]