Scale di valori
Costanti di natura ed estremi di principio
di Vincenzo Barone
a .
Usain Bolt detiene l’attuale record umano di velocità, circa 37,6 km/h. Il record naturale di velocità è invece fissato dalla relatività ristretta a 299.792,458 km/s ed è detenuto dalla luce e da tutte le particelle di massa nulla. Nessuna particella di massa diversa da zero può raggiungere questo limite.
b.
Le costanti fondamentali ħ e c come fattori di conversione tra le grandezze fisiche fondamentali.
Le costanti fondamentali ħ e c come fattori di conversione tra le grandezze fisiche fondamentali.
Se la relatività pone un limite superiore al moto lineare, la meccanica quantistica pone un limite inferiore al moto oscillatorio. Essa prevede che il più piccolo quanto di oscillazione sia dato da un’altra costante fondamentale, la costante di Planck ħ (si legge “acca tagliato”). Siamo abituati a pensare che il movimento più lento sia la quiete, che ovviamente non ha niente di speciale e non costituisce certo un primato. Ma la fisica quantistica contraddice questa idea del senso comune. A causa del principio di indeterminazione di Heisenberg, infatti, una particella non può stare ferma in un punto definito. Un oscillatore, per esempio, non è mai a riposo nella sua posizione di equilibrio e ha un’energia minima proporzionale a ħ. Soffermiamoci ora su c e ħ. La prima di queste due costanti, c, converte il tempo in spazio. Ecco perché le distanze celesti sono misurate in anni luce: quando diciamo, ad esempio, che la stella Proxima Centauri si trova a quattro anni luce dalla Terra, intendiamo dire che la sua distanza da noi è pari allo spazio percorso dalla luce in un tempo di quattro anni. La costante c converte anche l’energia in massa, secondo la famosa relazione di Einstein E = mc². Questo è il motivo per cui, se si vogliono produrre particelle molto pesanti (come il quark top o il bosone di Higgs), bisogna studiare collisioni che avvengono ad alte energie. La costante di Planck ħ, invece, converte il tempo, o meglio le frequenze, in energia. Se moltiplichiamo fra loro le due costanti, otteniamo una quantità, ħc, tipica delle teorie che sono sia quantistiche sia relativistiche. Teorie di questo tipo sono quelle che descrivono le interazioni nel mondo delle particelle elementari. La quantità ħc converte l’energia in lunghezza. Raggiungere energie elevate significa esplorare regioni di spazio molto piccole: una particella si comporta, infatti, come una sonda, il cui potere di risoluzione è tanto più grande quanto più alta è la sua energia. Per esempio, un elettrone o un fotone di 100 GeV permettono di sondare una regione di spazio dell’ordine dei 10-17 metri. Gli acceleratori di particelle sono dunque anche potentissimi microscopi! Oltre a quelle che abbiamo menzionato, c’è in fisica una terza costante universale, la costante di Newton G, che compare nella legge di gravità. Avere a disposizione tre costanti ha un’importante conseguenza, legata al fatto che anche le grandezze fisiche fondamentali (massa-energia, lunghezza, tempo) sono tre. Se ħ e c permettono di convertire ognuna di queste grandezze in un’altra, mettendo assieme tutte e tre le costanti otteniamo altrettante scale naturali del mondo. Combinando opportunamente ħ, c e G possiamo, per esempio, costruire una lunghezza, detta lunghezza di Planck, che vale 10-35 metri. È questa la distanza spaziale alla quale la forza di gravità – che nel mondo ordinario è debolissima – diventa intensa quanto le altre tre forze fondamentali della natura (la forza elettromagnetica, la forza forte e la forza debole). Per avere un’idea della piccolezza di questa distanza, si pensi che se dilatassimo lo spazio in modo tale da far diventare gli atomi grandi quanto una galassia, la lunghezza di Planck corrisponderebbe più o meno al diametro di una capocchia di spillo. Per esplorare una regione di spazio delle dimensioni di 10-35 metri è necessario raggiungere energie dell’ordine di 1019 GeV, l’energia di Planck, un milione di miliardi di volte superiore alle energie degli attuali acceleratori (e presumibilmente ben al di là delle possibilità di quelli futuri). Ma una condizione così estrema si è verificata almeno una volta in natura: circa 14 miliardi di anni fa, all’inizio della storia dell’universo, ad appena 10-43 secondi (tempo di Planck) dal Big Bang. A quell’epoca, l’universo era straordinariamente denso e aveva una temperatura di 1023 gradi, corrispondente a un’energia media dei suoi costituenti pari all’energia di Planck. La comprensione dell’universo primordiale al tempo di Planck o, equivalentemente, dell’universo attuale alla lunghezza di Planck, richiederebbe una teoria quantistica unificata delle quattro forze, che ancora non possediamo. Le scale naturali di Planck rappresentano dunque una frontiera di cui si conosce a priori l’esistenza, ma che, per il momento, non siamo in grado di descrivere con le teorie a nostra disposizione. Uno dei tentativi più promettenti in questa direzione è basato sull’idea che gli enti fisici elementari non siano corpuscoli puntiformi, ma oggetti estesi di dimensioni proprio dell’ordine della lunghezza di Planck, o di poco superiori. Questi oggetti sarebbero piccolissime corde vibranti, le stringhe, le cui oscillazioni quantizzate darebbero origine alle particelle conosciute. Se così fosse – ma manca tuttora una teoria completa e coerente delle stringhe – non avrebbe senso spingersi a scale spaziali inferiori alla lunghezza delle stringhe e la scala di Planck sarebbe non solo un confine teorico, ma un limite reale del mondo.
[as] approfondimento
Il cubo delle teorie
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