Passaggi proibiti
Processi di violazione dei numeri leptonici

di Alessandro Massimo Baldini

a.
Mentre era ancora in Canada, Bruno Pontecorvo (la foto è di pochi anni dopo) cercò di chiarire quale fosse il modo principale di decadimento del muone, assieme al suo collega Ted Hincks.
La pressoché perfetta separazione tra le tre famiglie leptoniche note (e, μ, τ), predetta dal modello standard delle interazioni fondamentali, costituisce una sfida estremamente affascinante per i fisici sperimentali delle alte energie. La semplice osservazione di un qualsiasi processo elementare coinvolgente leptoni carichi che violasse questa regola (ovviamente senza gli opportuni neutrini a ristabilirla!) ci direbbe a chiare lettere che il modello standard non sarebbe più valido, ma che necessiterebbe di una radicale trasformazione. Storicamente è stata proprio la non osservazione di processi di questo tipo, detti anche Lfv (vd. Sapori di famiglia, ndr), cioè che violano la legge di conservazione del sapore leptonico, ad aver orientato la costruzione teorica del modello standard e il concepimento di tre famiglie separate. Furono per primi Bruno Pontecorvo, allora in Canada, e il suo collega Ted Hincks a cercare di chiarire quale fosse il modo principale di decadimento del muone. Con il loro esperimento del 1947, i due stabilirono un primo limite sulla possibilità che un muone decadesse in un elettrone e un fotone:

meno di un muone su dieci. Oggi sappiamo che la probabilità è molto molto più piccola, ma questo limite diede il via alla ricerca sperimentale dei processi Lfv, che ancora oggi ci appassiona. Il muone è indubbiamente una particella privilegiata per queste ricerche, perché ha una massa piccola, cosa che ne rende energeticamente favorevole la realizzazione di fasci intensi e inoltre fa sì che abbia, di fatto, un solo modo di decadimento, che ne rende più agevole la distinzione rispetto ai possibili modi di decadimento Lfv. Ogni particella, infatti, può decadere, cioè trasformarsi, solo in particelle più leggere. Quindi, nel caso del muone, queste sono l’elettrone, il fotone e i neutrini. Il tau, 17 volte più pesante del muone, può decadere invece in molti modi diversi, rendendone più complessa l’identificazione sperimentale. Un’altra proprietà interessante del muone è che vive molto a lungo, circa 2,2 microsecondi! Può sembrare un tempo molto piccolo per i nostri standard, ma è sufficiente per permetterci di trasportare agevolmente i muoni dal punto di produzione al punto di utilizzo, facendoli comodamente arrestare là dove i nostri rivelatori sono pronti per studiarne i possibili modi Lfv di decadimento. Il tau vive 7,5 milioni di volte meno del muone rendendo anche per questo aspetto molto più difficile la costruzione di rivelatori che possano “vederlo”. Il decadimento di un muone in un elettrone e un fotone (sinteticamente scritto come μ→ eγ) non è l’unico decadimento Lfv del muone che viene ricercato. Altre possibilità sono il decadimento in due elettroni e un positrone (scritto come μ→3e, indicando con “e” sia i positroni che gli elettroni) e infine la conversione del muone in un elettrone (μ→e) in presenza di un nucleo atomico (vd. fig. b). I tre processi sono legati dal fatto che un fotone può sia dar luogo a una coppia elettrone-positrone (questo avviene in presenza di un campo elettromagnetico esterno), sia essere assorbito da un nucleo atomico. A questo punto, l’esistenza del processo μ→ eγ implicherebbe quella degli altri due processi, anche se la probabilità per i secondi sarebbe più piccola di un fattore di circa cento, come si può calcolare “semplicemente” nell’ambito dell’elettrodinamica quantistica (la Qed, vd. L'alfabeto della natura, ndr). Meglio restringere la ricerca al solo decadimento μ→ eγ allora? Niente affatto! Innanzitutto, sperimentalmente si misurano meglio i parametri (direzione, energia) degli elettroni, rispetto a quelli dei fotoni, perché gli elettroni, essendo elettricamente carichi, lasciano tracce rivelabili con maggior accuratezza di quella ottenibile con i fotoni: questi ultimi, essendo neutri, non lasciano direttamente tracce nei rivelatori ma lo fanno solo dopo aver interagito con materiali opportuni. La necessità di questo “doppio passo” rende le informazioni ottenute di qualità peggiore a quella ottenibile dagli elettroni. Risulta che la capacità di distinguere un buon segnale da un evento di fondo è molto migliore (almeno di un fattore 100) nel caso di μ→3e e μ→e che di μ→ eγ. In secondo luogo, teoricamente, possono esistere (anche se non sono presenti nelle teorie più in voga per il superamento del modello standard) processi Lfv senza la presenza del fotone, che potrebbero dar luogo a μ→3e e μ→e ma non a μ→ eγ. È quindi fondamentale che tutte queste ricerche vengano perseguite. Nei 70 anni dall’esperimento di Pontecorvo e Hincks la sensibilità nella ricerca dei processi Lfv è aumentata di dieci miliardi di volte, come si vede nella fig. c a p. 19, dove la sensibilità raggiunta per i tre processi descritti sopra è riportata in funzione dell’anno di misura. Questi miglioramenti sono stati possibili grazie al notevole progresso nella produzione di fasci di muoni super intensi e nel miglioramento delle tecniche di rivelazione delle particelle elementari. Uno dei laboratori dove si sono svolti molti degli esperimenti di ricerca dei processi Lfv è il Paul Scherrer Institut (Psi), vicino a Zurigo, che possiede una linea di fascio con un’intensità di 100 milioni di muoni al secondo, la più intensa al mondo in questo momento. Nel 2016 l’esperimento Meg al Psi ha concluso una prima fase di ricerca, stabilendo che meno di un muone ogni 2500 miliardi decade in un elettrone e un fotone! L’anno prossimo Meg ricomincerà la ricerca di μ→ eγ con rivelatori migliorati, cercando di incrementare la propria sensibilità di un ulteriore fattore 10.

 
b.
Da sinistra a destra, i decadimenti μ→ eγ, μ→3e e μ→e (in presenza di un nucleo atomico).
 
c.
Il grafico mostra il miglioramento negli anni dei limiti superiori posti sulle probabilità dei decadimenti Lfv del muone.
 

Tra qualche anno, inoltre, il Psi ospiterà sulla stessa linea di fascio un altro esperimento, chiamato Mu3e, per la ricerca di μ→3e, che si propone di aumentare di un fattore 100 la sensibilità di questo decadimento rispetto al precedente limite. Due laboratori, il Jparc in Giappone e il Fermilab negli Usa, stanno costruendo delle linee di fascio di muoni ancora più intense, che raggiungeranno i 100 miliardi di muoni al secondo all’inizio degli anni 2020, per ricercare la conversione del muone in elettrone (μ→e) con una sensibilità di una conversione ogni 10 milioni di miliardi di muoni. Le ricerche dei processi Lfv vengono chiamate “la frontiera dell’alta intensità”, perché, come si è visto, per riuscire a vedere decadimenti rarissimi, ossia a bassissima probabilità, si usano fasci superintensi di muoni. È un po’ come se volessimo essere abbastanza sicuri di vincere il primo premio di una lotteria, che è ovviamente un evento di bassissima probabilità: dovremmo acquistare un gran numero di biglietti, abbastanza vicino al numero totale delle possibili combinazioni. Questa analogia ci permette anche di farci un’idea più precisa di quanto siano rari i processi Lfv che stiamo cercando: la misura del 2016 di Meg ci dice che la probabilità di un muone di decadere in un elettrone e un fotone è un milione e mezzo di volte più piccola di quella di fare 13 al totocalcio mettendo a caso 1, X o 2, ovviamente con una sola schedina - stiamo veramente cercando un ago in un pagliaio! Anche le ricerche che si svolgono al Cern con l’acceleratore Large Hadron Collider (Lhc) cercano di verificare i limiti di validità del modello standard. Lo fanno in un modo differente, spingendo le energie dei fasci di protoni che collidono a valori mai raggiunti in precedenza per cercare di produrre nuovi tipi di particelle mai osservati prima e che potrebbero essere la causa dei processi Lfv. Questi esperimenti vengono chiamati “la frontiera dell’alta energia”. Le due frontiere, quella dell’alta energia e quella dell’alta intensità, sono molto diverse per le tecniche utilizzate ma affrontano lo stesso tema: la ricerca di un avanzamento nella comprensione della microstruttura del nostro universo.

 

Biografia
Alessandro Massimo Baldini è ricercatore presso la sezione Infn di Pisa. Ha iniziato la propria attività scienti ca al Cern in esperimenti di camera a bolle per lo studio delle proprietà dei neutrini e la ricerca di oscillazioni di sapore. Ha collaborato per molti anni all’esperimento Macro presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) alla ricerca di un possibile segnale di neutrini da supernovae galattiche e successivamente ha lavorato presso la centrale nucleare di Chooz nelle Ardenne all’omonimo esperimento per la ricerca di oscillazioni di neutrino. È attualmente portavoce dell’esperimento Meg al Psi di Zurigo alla ricerca del decadimento del muone in un elettrone e un fotone.


Link
https://meg.web.psi.ch/
https://mu2e.fnal.gov/
http://comet.kek.jp


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2017.23.3
 

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