La ragnatela dell’universo
La formazione delle strutture cosmiche

di Alvise Raccanelli

a.
Strutture galattiche.

Se osserviamo l’universo attorno a noi, vediamo che la sua struttura è tutt’altro che uniforme: su scale più piccole ci sono le galassie, le quali sono aggregate a formare gli ammassi di galassie, mentre sulle scale più grandi la materia forma lunghi filamenti che compongono quello che viene chiamato “cosmic web”, la ragnatela cosmica. Queste strutture cosmiche costituiscono la spina dorsale dell’universo. Le strutture cosmiche a larga scala si formarono in una delle prime fasi di vita dell’universo, durante la quale un meccanismo detto inflazione cosmologica (vd. Un'intuizione spettacolare, ndr) ha stirato le minuscole fluttuazioni quantistiche presenti a quel tempo fino a farle diventare molto grandi, producendo in questo delle anisotropie, o irregolarità, nella distribuzione di materia nell’universo, altrimenti molto uniforme. Queste irregolarità rappresentano i semi primordiali per la nascita delle strutture, che avverrà molto tempo dopo.
Nel frattempo, sempre nei primi istanti di vita dell’universo, radiazione e materia erano tra di loro accoppiate a formare un fluido caldo e denso, opaco. L’universo, a causa della sua espansione, si è successivamente raffreddato e rarefatto, fino al punto in cui elettroni e protoni hanno formato i primi atomi neutri: in questo modo materia e radiazione si sono separate, e la radiazione così liberata ha potuto viaggiare fino a noi come radiazione cosmica di fondo (Cmb), che oggi osserviamo con una temperatura di circa 3 kelvin (-270°C).

Questa temperatura, molto uniforme in tutte le direzioni, presenta però delle piccole variazioni, di una parte su centomila: le variazioni sono dovute proprio alle piccole irregolarità presenti nell’universo primordiale e sono testimoni della presenza di quei semi che hanno cominciato a formare gli ammassi di galassie e le galassie grazie alla gravità. Le zone leggermente più dense hanno attratto la materia dalle zone un po’ meno dense, e questo processo, chiamato “instabilità gravitazionale”, è proseguito fino a tempi recenti, producendo le strutture cosmiche che osserviamo. Una componente fondamentale nella formazione delle strutture e della loro evoluzione è la materia oscura, la cui esistenza è nota dai suoi effetti gravitazionali ma che fino ad ora è sfuggita a una comprensione più profonda. L’esistenza della materia oscura fu inizialmente ipotizzata negli anni ‘30 da Fritz Zwicky, per spiegare la discrepanza tra la quantità di materia osservata negli ammassi di galassie (dedotta dalla luce che essa produce) e la massa calcolata come necessaria per spiegare i moti delle galassie all’interno degli ammassi, che era di gran lunga superiore a quella della materia visibile. È però solo in tempi più recenti, a partire dai lavori di Vera Rubin, Kent Ford e Ken Freeman negli anni ’70, che la comunità scientifica ha accumulato evidenza dell’esistenza di una componente di materia non visibile, anche su scale più piccole come le galassie. Da quel momento la comprensione di natura, origine e abbondanza della materia oscura è diventato uno dei principali campi di studio di cosmologi, astrofisici e fisici delle particelle.

 
b.
Simulazione dell’evoluzione nel tempo di una porzione di universo. Le quattro colonne mostrano, da sinistra a destra, la distribuzione di materia oscura, la distribuzione di gas, la temperatura del gas e l’abbondanza di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio (metallicità). Il tempo (T) è indicato in miliardi di anni a partire dal Big Bang.

 

Le osservazioni recenti mostrano che l’abbondanza della materia oscura nell’universo corrisponde a cinque volte la quantità di materia ordinaria che vediamo e con cui interagiamo quotidianamente (pianeti, stelle, gas interstellari, ecc.). La materia oscura fa ormai parte del modello standard della cosmologia e costituisce proprio quella componente cosmica che forma, per instabilità gravitazionale, le strutture rappresentate dalle galassie, dagli ammassi e dal cosmic web: è lei l’architrave che regge tutto l’universo. Per fare questo, si è capito che deve essere particolarmente fredda, dotata cioè di poca energia di movimento. Sebbene gli effetti della materia oscura sulla dinamica delle galassie e sulla formazione delle strutture siano evidenti, essa non è mai stata direttamente osservata, se non appunto attraverso i suoi effetti gravitazionali. L’ipotesi più accreditata sulla sua natura è che si tratti di una nuova particella, con caratteristiche tali da non potersi inserire nel modello standard della fisica delle particelle se non spingendolo oltre la sua formulazione attuale: richiede infatti, come si dice, una “nuova fisica”. I candidati più accreditati per descrivere la materia oscura sono stati a lungo del tipo cosiddetto Wimp, cioè particelle massive debolmente interagenti, che interagiscono molto poco con la materia ordinaria, ma quel tanto che basta per essere prodotte nel plasma primordiale nella giusta abbondanza che osserviamo oggi.
Negli ultimi anni i cosmologi hanno iniziato ad avanzare con più insistenza anche ipotesi alternative e tra le opzioni più popolari al momento troviamo una particella chiamata assione (vd. Un vento leggero, ndr). C’è anche l’ipotesi che la materia oscura non sia una particella, ma semplicemente una grande quantità di buchi neri primordiali, formatisi nei primissimi istanti dopo il Big Bang. Ipotizzati per la prima volta da Stephen Hawking e Bernard Carr negli anni ‘70, rappresentano una diversa categoria di candidati per la materia oscura e sono tornati prepotentemente di moda dopo la rivelazione delle onde gravitazionali emesse durante la fusione di due buchi neri.

 
c.
Mappa tridimensionale dell’universo. I puntini colorati rappresentano la posizione nel cielo di galassie osservate dalla survey 2Mass entro una distanza massima di circa 380 milioni di anni luce. I diversi colori codificano la distanza delle galassie da noi, dalle più vicine, viola, alle più lontane, rosse.
 

Tornando invece alle osservazioni cosmologiche dirette della struttura su grande scala dell’universo, le osservazioni più adatte per studiare non solo il meccanismo di formazione, ma anche l’evoluzione e le proprietà delle strutture cosmiche, sono le campagne osservative, dette survey, che hanno lo scopo di compilare estesi cataloghi di galassie e della loro posizione in cielo. Le survey permettono infatti di comprendere, tramite lo studio della distribuzione delle galassie nel cielo, il modo in cui le strutture cosmiche sono fatte e attraverso quale percorso evolutivo sono arrivate a essere come oggi le osserviamo. Attraverso questi studi è possibile sottoporre a verifica non solo i modelli standard della cosmologia da un lato e della fisica delle particelle dall’altro, ma anche modelli alternativi, oltre che cercare di misurare una serie di parametri, come ad esempio la massa dei neutrini. Come detto, le survey di galassie su larga scala rappresentano al momento, e per almeno il prossimo decennio, il principale focus sperimentale (anche in termini di investimenti) in astrofisica e cosmologia.
In parallelo a questo, negli ultimi anni sono state sviluppate altre due metodologie per osservare la distribuzione delle galassie in diverse epoche cosmologiche, e capire ancora meglio la formazione delle strutture cosmiche e la loro evoluzione. La prima è un’evoluzione delle survey di galassie tradizionali, chiamata intensity mapping, e consiste nell’osservazione dell’emissione radio totale della materia stellare e interstellare: in questo modo si rinuncia ai dettagli dell’emissione di ogni singola galassia, concentrandosi sul quadro generale, e quindi sulla distribuzione globale di materia, compresa quella oscura. La tecnica è inoltre particolarmente efficace poiché permette di osservare velocemente grandi porzioni di cielo. Ma la vera novità degli ultimi cinque anni in cosmologia è rappresentata dalla rivelazione di onde gravitazionali. Predette da Einstein nel 1916, le onde gravitazionali sono perturbazioni dello spaziotempo che si propagano in modo ondulatorio e alla velocità della luce. Le onde gravitazionali rappresentano una finestra sull’universo completamente nuova, e diverse tecniche sono state sviluppate di recente per poter effettuare studi di cosmologia, incluso lo studio dei modelli di formazione ed evoluzione delle strutture in diverse epoche cosmiche, consentendo misure altamente complementari a quelle delle survey standard di galassie.

 

Biografia
Alvise Raccanelli, dopo la laurea in astronomia conseguita presso l’Università di Padova con una tesi in cosmologia, ha svolto attività di ricerca presso la Nasa/Jpl, Caltech e la Johns Hopkins University. Ha ottenuto una fellowship Marie-Curie all’Università di Barcelona e attualmente è ricercatore al Cern.


Link
https://www.illustris-project.org/movies/illustris_movie_zoomin.mp4


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2020.28.4