“Il navigatore italiano è appena atterrato nel nuovo mondo”. Queste le parole, volutamente criptiche, con cui il 2 dicembre 1942 Arthur Compton, responsabile del Metallurgical Laboratory della University of Chicago, comunica al suo superiore James Conant il successo ottenuto poche ore prima dal gruppo di ricerca guidato da Enrico Fermi, nel dare il via a un reazione nucleare a catena controllata attraverso il primo reattore a fissione artificiale della storia, la Chicago-Pile I. Il risultato, di cui quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario, ha rappresentato, nel bene e nel male, una tappa fondamentale della storia dell’umanità, dimostrando sul piano pratico come l’energia atomica potesse essere imbrigliata e sfruttata sia per scopi civili e pacifici che per scopi militari, e di certo meno nobili.
Sono note al grande pubblico le vicende che scaturirono da questa prima decisiva esperienza, avviata segretamente nel 1939 nel sottosuolo dello Stagg Field, un campo da football nel cuore dell’università di Chigago, la quale sancì il primo atto del Progetto Manhattan e del periodo conclusosi nel 1945 con la distruzione di Hiroshima e Nagasaki a opera dei due ordigni nucleari Fat Man e Little Boy.
Il primo rozzo dispositivo che dischiuse tali possibilità era costituito da una pila alta circa 4 metri, realizzata con 57 strati di mattoni di graffite – per un peso complessivo di circa tre tonnellate e mezzo – ordinatamente disposti sopra una struttura di legno, e foratati per ospitare al loro interno l’uranio e gli alloggiamenti per le barre di cadmio deputate al controllo della reazione nucleare. In quella fatidica giornata del dicembre 1942, la rimozione delle barre di cadmio, in grado di assorbire i neutroni e di agire quindi come inibitori, diede il via in poco tempo a una reazione nucleare a catena autosostenuta, la cui esponenziale produzione di energia i presenti ebbero modo di verificare tramite il crescente ticchettio di un contatore geiger.
Della quasi totale mancanza di protocolli e di sistemi di radioprotezione capaci di garantire la sicurezza dei tecnici e dei ricercatori coinvolti nell’esperimento, si può avere una chiara testimonianza attraverso le parole pronunciate dallo stesso Enrico Fermi, il quale, nonostante le rassicurazioni fornite sulla scarsa probabilità di incidenti, interpellato sull’eventuali misure da adottare nel caso la pila atomica non fosse riuscita a controllare la reazione, ebbe modo di rispondere: “Camminerei via, con calma”.
Più sottovalutati, a causa del profondo impatto emotivo provocato degli avvenimenti successivi all’accensione della Chicago-Pile I sopra ricordati – i quali rimangono alla base del mai sopito dibattito intorno alla necessità di un disarmo nucleare su scala globale – sono tuttavia i retroscena che posero le basi scientifiche e tecniche per la realizzazione del capostipite dei reattori artificiali a fissione. Antefatti e aneddoti che vedono ancora una volta come assoluto protagonista Enrico Fermi, animatore della breve quanto eroica stagione della fisica italiana che si svolse dal 1926 al 1938 presso il dipartimento di fisica dell’Università di Roma, all’epoca situato in Via Panisperna, e che determinerà il futuro di tutta la successiva ricerca nel settore della fisica fondamentale nel nostro paese.
È proprio in questi anni, infatti, che i leggendari ragazzi di Via Panisperna operano e ottengono i loro fondamentali successi nello studio di metodi per la produzione di nuovi elementi radioattivi attraverso la scissione dell’atomo per mezzo di elettroni lenti e nell’elaborazione di un modello teorico per la descrizione della forza responsabile del decadimento beta. A contribuire al conseguimento di questi cruciali risultati, insieme al solito Fermi, saranno, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Ettore Majorana, Edoardo Amaldi, Giulio Cesare Trabacchi, Enrico Persico e Bruno Pontecorvo, senza dimenticare il grande promotore della creazione di questo gruppo di giovanissimi ricercatori, Orso Mario Corbino, all’epoca direttore del Dipartimento di Fisica. Ricordiamo qui anche gli scherzosi soprannomi, indicativi della personalità dei singoli, con cui i componenti del gruppo erano soliti chiamarsi: Corbino era il Padreterno, Fermi il Papa, Rasetti il Cardinale Vicario, Majorana il Grande Inquisitore, Trabacchi la Divina Provvidenza, Amaldi e Segrè gli Abati, Persico il Cardinale di Propaganda Fide e Pontecorvo il Cucciolo.
A seguito di vari e insoddisfacenti tentativi rivolti a indurre la radioattività mediante il bombardamento degli atomi con neutroni, il 22 ottobre 1934 è il giorno della svolta. Mentre gli altri componenti del gruppo sono impegnati con gli esami, l’impaziente Papa della fisica, decide improvvisamente di filtrare e di rallentare i neutroni prodotti dalla sorgente messa a disposizione da Trabacchi con della Paraffina, ottenendo infine il risultato cercato, certificato dal ticchettio prodotto anche in questo caso da un contatore geiger. Ad assistere all’esperimento è il solo Enrico Persico. Il gruppo viene avvisato solo nel pomeriggio, quando Fermi ha già elaborato una spiegazione.
La sera dello stesso giorno, a casa di Amaldi, in un clima di concitazione ed entusiasmo, viene scritto quello che da molti viene definito uno dei primi preprint scientifici della storia, dal titolo “Azione delle sostanze idrogenate sulla radioattività provocata da neutroni”, a firma di Fermi, Amaldi, Pontecorvo, Rasetti e Segrè. “Ciò che avevamo trovato – scriverà in seguito Amaldi – era un metodo per produrre artificialmente sostanze radioattive, talmente efficace che il costo di quelle sostanze poteva scendere ben al di sotto di quello delle sostanze radioattive naturali”.
Informato della scoperta e resosi immediatamente conto delle sue possibili applicazioni, Orso Mario Corbino spingerà il gruppo di Via Panisperna a depositare un brevetto in Italia, che sarà successivamente esteso anche ad altri paesi e che sarà al centro di una controversia con l’amministrazione federale statunitense proprio alla luce dello sfruttamento del procedimento, nel frattempo secretato dalle autorità americane, nell’ambito della realizzazione della Chicago Pile I prima e del lavoro svolto nel centro di Los Alamos poi. Un contenzioso che si concluderà solo nel 1953 con il versamento di un compenso di 400.000 dollari, da dividersi tra gli scopritori.
Il brevetto per la creazione di nuovi elementi radioattivi tramite l’utilizzo dei neutroni lenti rappresenta quindi uno degli elementi di collegamento con le vicende relative alla costruzione della prima pila atomica. L’altro è invece rappresentato dal Nobel assegnato a Fermi per la scoperta nel 1938, che fornirà al grande fisico il pretesto per lasciare l’Italia, dopo l’emanazione delle leggi razziali da parte del governo fascista, e raggiungere con la famiglia l’università di Chicago, dove sarà immediatamente messo alla guida del Metallurgical Laboratory. Il resto, come si suol dire, è storia. [Matteo Massicci]