Al cuore dei protoni grazie all’intelligenza artificiale

immagine ProtoneQuello tra fisica delle alte energie e intelligenza artificiale è un rapporto consolidato e di comprovata efficacia, che tuttavia rischia spesso di passare in secondo piano a causa del già mirabile contenuto tecnologico di cui i due settori sono singolarmente portatori. Eppure, l’apporto di algoritmi addestrati per discernere gli urti di maggior interesse per l’indagine fisica, nell’elevato numero di eventi che hanno luogo ogni secondo all’interno dei collisori di particelle come il Large Hadron Collider del CERN, appare oggi imprescindibile. Un sodalizio che si estende anche al campo degli sforzi volti a fornire modelli teorici accurati della composizione più intima della materia, come dimostra il caso di NNPDF (Neural Network Parton Distribution Functions), progetto guidato dall’Università degli Studi di Milano e dall’INFN, che mira a migliorare la comprensione della struttura interna del protone attraverso innovative tecniche di machine learning (vd. Asimmetrie n. 27). Tra gli ultimi risultati ottenuti dalla collaborazione internazionale NNPDF, la pubblicazione, lo scorso 8 agosto, sulla prestigiosa rivista Nature, di un articolo che raccoglie evidenze a favore della presenza di quark charm tra i costituenti intrinseci dei protoni. Se confermato, il risultato potrebbe porre fine a una controversia scientifica durata oltre 40 anni, che ha avuto come oggetto di disputa proprio il contributo dei quark charm – più pesanti degli stessi protoni - alle cosiddette distribuzioni partoniche, ovvero all’insieme dei costituenti elementari del protone.

A motivare la tipologia di ricerche svolte dalla collaborazione NNPDF, che si affiancano al lavoro di altre due collaborazioni internazionali, una statunitense e una britannica, è la limitata conoscenza della struttura del protone, che, nonostante la grande quantità di dati provenienti dai grandi collisionatori di particelle, è ancora parziale, anche per via delle peculiarità che contraddistinguono il mondo quantistico. I risultati degli esperimenti agli acceleratori dimostrano infatti come, con il crescere delle energie, e quindi con l’aumento dei dettagli osservabili, la struttura dei protoni, ricostruibile a partire dall’analisi dei getti di particelle prodotte a seguito delle collisioni e del corrispondente eccitamento degli stati interni dei protoni, risulti in realtà caratterizzata da un ribollire di quark. 

“Il protone a riposo”, spiega Stefano Forte, ricercatore INFN e docente dell’Università Statale di Milano alla guida della collaborazione NNPDF, “è uno stato relativistico fortemente legato, di due quark up ed un quark down responsabili della carica del protone, denominati quark di valenza, tenuti insieme dalla forza forte, cioè dalle particelle che la mediano, i gluoni. Un simile oggetto è descritto dalla teoria quantistica dei campi, la quale prevede che esso si trovi in uno stato in cui il numero di particelle non viene conservato, in quanto a rimanere invariati sono solo i numeri quantici, come la carica elettrica, risultanti da un campo quantistico che per sua natura fluttua”.

Le fluttuazioni nel cuore del protone determinano perciò la continua creazione e annichilazione di coppie di quark e antiquark. Questo mare di particelle, che è esattamente il termine utilizzato per indicare un simile stato, contribuisce a definire alcune proprietà del protone come la massa.

L’estrema complessità e variabilità che contraddistingue i sistemi quantistici fortemente legati rende impossibile determinare, a partire dai principi primi della cromodinamica quantistica, la teoria dell’interazione forte, la "funzione d'onda" che descrive la struttura dei protoni, la quale permetterebbe di calcolare le differenti distribuzioni di probabilità con cui le varie tipologie di quark sono riscontrabili e contribuiscono a definire le caratteristiche del protone. Il metodo impiegato per cercare di superare questa limitazione consiste perciò nel calcolare i risultati sperimentali che si otterrebbero data una certa struttura del protone, ed usare quindi i dati effettivamente osservati per risolvere il problema inverso e inferire quindi la struttura del protone. È proprio nell’individuazione della migliore possibile descrizione della struttura del protone che l’intelligenza artificiale e le tecniche di machine learning possono giocare un ruolo fondamentale.

“Dato che non conosciamo la legge fisica soggiacente alla struttura del protone”, prosegue Stefano Forte, “dal punto di vista matematico, le funzioni che potrebbero essere consistenti con i dati in nostro possesso sono infinite. Il problema è reso ancor più difficile dall’incertezza a cui le osservazioni sperimentali sono soggette e di cui si deve tener conto. Dei modelli elaborati a priori fornirebbero un risultato univoco, ma possono riflettere pregiudizi personali anziché la realtà oggettiva. Il machine learning ci consente di superare tali ostacoli esplorando un elevato numero di modelli possibili, molti di più di quelli che una mente umana potrebbe analizzare, attraverso l’utilizzo di una rete neurale addestrata a compiere questa attività in una serie di casi in cui il risultato è noto”, illustra Forte.

Le tecniche di machine learning utilizzate dalla collaborazione NNPDF si sono avvantaggiate sia dei codici di modelli di reti neurali oggi disponibili in open source che dell’accresciuta capacità computazionale dei calcolatori, nonché dell’incremento dell’accuratezza del calcolo teorico dei processi fisici che si producono nelle collisioni tra protoni, che si sono tradotte in un miglioramento dell’addestramento della rete e in un aumento di precisione dei risultati ottenibili. Con questi metodi sono stati quindi analizzati dati provenienti da svariati esperimenti svolti negli ultimi trent'anni, in particolare parte dei dati ottenuti dal Large Hadron Collider nel corso della sua seconda campagna di fisica (run 2), conclusasi nel 2018. Questi dati hanno consentito di ottenere evidenze a favore della presenza di un contributo intrinseco alla struttura del protone del quark charm, la cui massa è maggiore di quella del protone stesso. Risultato che potrebbe confermare un’ipotesi elaborata nel 1980 dai fisici Stan Brodsky, Paul Hoyer, Carsten Peterson e Noriskue Sakai.

“La determinazione della struttura del protone che abbiamo effettuato, la più precisa degli ultimi venti anni, fornisce indicazioni piuttosto solide a favore della presenza di una componente di charm. Quello che ci aspettiamo è che nei prossimi anni, una volta acquisito l’intero set di dati del run 2 di LHC, la nostra analisi, la quale verrà nel frattempo migliorata sotto vari aspetti, possa confermare la scoperta. Considerato che stiamo parlando di processi quantistici, ciò che noi determiniamo è la probabilità di trovare dentro il protone una particella portatrice di una data frazione della massa del protone stesso. In questo caso”, conclude Forte, “noi troviamo che quando osserviamo un quark charm dentro al protone, di norma sta portando circa la metà della massa del protone, ma questo succede con una probabilità molto piccola, dimodoché in media solo l'1% della massa del protone è portata dal quark charm”.

Come dimostra l’esperienza della collaborazione NNPDF, nel prossimo futuro, il rapporto tra intelligenza artificiale e fisica è destinato a rinsaldarsi maggiormente di quanto già non sia, andando a influenzare profondamente sia l’attività teorica legata alla descrizione dei costituenti fondamentali che il lavoro di ricerca di fisica oltre il modello standard, la teoria che descrive le particelle elementari e le loro interazioni, nell’immensa mole di dati prodotta dai collisori di particelle. [Matteo Massicci]

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