Al cuore della materia
Nel nucleo l’origine della varietà degli elementi.
di Angela Bracco

Una caratteristica affascinante della natura sulla Terra è la sua sorprendente varietà, frutto di un numero infinito di combinazioni atomiche. I nuclei costituiscono la gran parte della massa degli atomi e rappresentano la quasi totalità della materia ordinaria osservata nell’Universo.
Gli atomi si sono formati solo molto dopo la creazione dei nuclei, poiché il legame tra elettroni e nuclei, è possibile solo a temperature molto basse, se confrontate con quelle delle grandi esplosioni cosmiche e delle fornaci delle stelle, dove i nuclei vengono prodotti. L’avventura della scoperta dei nuclei inizia verso fine Ottocento, quando Henri Becquerel si accorse che nuovi tipi di raggi d’energia venivano emessi spontaneamente e continuamente dagli atomi d’uranio. Si capì poi che questa radioattività naturale implicava la trasformazione di un elemento in un altro, ritenuta impossibile secondo le conoscenze del tempo.
a.
Hans Geiger (a sinistra) e Ernest Rutherford (a destra) nel laboratorio di Rutherford a Manchester nel 1908.

Attorno al 1910, Ernest Rutherford scoprì che un particolare tipo di radiazione era costituita da nuclei di elio (costituiti da due protoni e due neutroni), molto più pesanti degli elettroni e carichi positivamente. Rutherford ebbe l’idea geniale di studiare le proprietà della materia “sparando” queste particelle (chiamate particelle alfa) su sottili lamine d’oro (vd. fig. b). Scoprì inaspettatamente che una certa frazione di questi proiettili veniva respinta all’indietro. “è come se una palla di cannone sparata contro un foglio di carta velina tornasse indietro!” esclamò Rutherford. Per spiegare le sue osservazioni immaginò che, diversamente da quanto si era creduto fino ad allora, la carica positiva degli atomi d’oro non fosse distribuita uniformemente, ma concentrata in un volume molto minore di quello dell’atomo, corrispondente ad un raggio ben 50.000 volte più piccolo. I proiettili respinti erano quelli che urtavano e “rimbalzavano” proprio contro questo minuscolo nucleo.
L’esperimento di Rutherford costituì la base del modello con il quale un altro fisico, il danese Niels Bohr descrisse l’atomo. Secondo questo modello il nucleo comprende la quasi totalità della massa dell’atomo e costituisce il centro di forza elettromagnetica, attorno al quale si muovono gli elettroni. I costituenti del nucleo sono i protoni, in numero uguale agli elettroni ma con carica opposta, e i neutroni. I neutroni hanno circa la stessa massa dei protoni ma sono neutri, non hanno cioè carica elettrica (Chadwick, 1932).

b.
Esperimento di Rutherford.
Le particelle alfa, che incidono su una sottile lamina d’oro, vengono deflesse con angoli tanto più grandi quanto più ravvicinato è stato “l’incontro” con i nuclei dell’oro. Lo schermo fluorescente che circonda il bersagli permette di visualizzarne il punto di arrivo.
c.
Il raggio del nucleo è cinquantamila volte più piccolo dell’intero atomo. Mantenendo queste proporzioni, se il nucleo fosse grande come una formica al centro di uno stadio, gli elettroni starebbero alla distanza degli spalti.
d.
Nel decadimento beta un neutrone (protone) si trasforma in un protone (neutrone), liberando un elettrone (positrone) e un antineutrino (neutrino). Reazioni nucleari di questo tipo innescano il ciclo di produzione di energia nelle stelle.

Stabilita l’esistenza del nucleo bisognava capire le proprietà delle forze capaci di tenere assieme protoni e neutroni (detti in generale nucleoni) nel nucleo: un problema davvero formidabile.
L’energia che tiene assieme il nucleo è molto elevata e proporzionale al numero di nucleoni. Il volume del nucleo è proporzionale alla sua massa, ovvero la densità all’interno di tutti nuclei è circa la stessa. Da queste evidenze sperimentali si deduce che le forze nucleari devono esercitare un’attrazione assai intensa, in grado di vincere la repulsione elettromagnetica tra i protoni carichi positivamente, ma che allo stesso tempo, a brevissime distanze, i nucleoni sentono una forza repulsiva, che impedisce il collasso del nucleo.
È poi necessario spiegare la stabilità di certe configurazioni nucleari rispetto ad altre: così ad esempio il sistema costituito da due neutroni non è stabile, mentre lo è il deuterio, formato da un neutrone e da un protone.
Più in generale, i nuclei con un dato numero di protoni sono instabili se vi sono troppi o troppo pochi neutroni.

e.
Fermi professore a Roma, 1927 circa.

Negli anni ’30 Fermi ed il suo gruppo a Roma investigarono la capacità degli isotopi – ovvero dei nuclei con un definito numero di protoni, ma differente numero di neutroni – di diventare stabili nel tempo, trasformando protoni in neutroni o viceversa, attraverso un processo chiamato decadimento beta.
Il decadimento beta è dovuto a un altro tipo di forza, chiamata forza debole, molto meno intensa non solo di quella nucleare ma anche di quella elettromagnetica. La forza debole induce la prima reazione nel ciclo di produzione d’energia nelle stelle, permettendo la formazione del deuterio a partire da due protoni ed è la causa per cui il Sole brucia molto lentamente!

f.
Illustrazione schematica della collisione di un nucleo in movimento con un bersaglio fisso, che produce reazioni con emissione di particelle (protoni, neutroni, alfa) e di raggi gamma. I nuclei incidenti sono prodotti da acceleratori.

ll nucleo quindi è un sistema dove sono in azione tre tipi di forze: la forza nucleare, la forza elettromagnetica e la forza debole.
Comprendere e svelare la struttura dei nuclei è un processo laborioso che non solo richiede la misura delle loro masse, delle loro dimensioni, della densità e della distribuzione della materia, ma implica anche la conoscenza di come il sistema risponde all’azione di sollecitazioni esterne di diverso tipo. Anche nel caso di materiali che usiamo tutti i giorni, non ci basta sapere il loro peso o la loro densità, ma vogliamo determinare altre proprietà tra cui la loro elasticità e deformabilità a diverse temperature  e sotto diversi tipi di sforzi. Lo strumento principe per sollecitare il nucleo è rimasto quello introdotto da Rutherford: l’utilizzo di reazioni nucleari indotte da vari proiettili (ioni, elettroni, fotoni…).
Grazie all’intensa ricerca compiuta con gli acceleratori dei laboratori di tutto il mondo, tra cui anche quelli dell’Infn, i Laboratori Nazionali di Legnaro (Lnl), quelli del Sud (Lns) a Catania e i Laboratori Nazionali di Frascati (Lnf) si è appreso che il nucleo è uno dei più complessi sistemi quantistici che abbiamo in natura. Mentre certi fenomeni nucleari possono venire compresi sulla base del cambiamento di singoli nucleoni, ovvero trasformazioni di singoli neutroni e protoni, altri coinvolgono il nucleo nel suo insieme.
Alcuni di questi ultimi, come la fissione, che porta alla divisione del nucleo, sono legati ai cambiamenti della forma dei nuclei ed alla dinamica della loro superficie.

g.
L’acceleratore lineare (Tandem) dei Laboratori di Legnaro dell’Infn inaugurato 20 anni fa; il contenitore bianco (Moby Dick) isola il terminale di 15 milioni di Volt che serve ad accelerare gli ioni pesanti.

Il fatto di aver imparato tanto non vuol certo dire che siamo in grado di capire la fisica nucleare in tutta la sua complessità e nelle sue diverse sfaccettature. In effetti, per spiegare la varietà e l’origine degli elementi che sono presenti nel nostro Universo ci serve molto di più! Ad esempio, per quale ragione l’idrogeno e l’elio, che hanno uno e due protoni, sono tanto più abbondanti degli elementi più pesanti? Per rispondere a questa domanda fondamentale dobbiamo mettere assieme conoscenze di fisica nucleare, di astrofisica e di cosmologia. Oggi sappiamo che mentre idrogeno ed elio sono stati prodotti nel Big Bang all’origine del nostro Universo, gli elementi più pesanti possono prodursi solo nelle stelle. La loro creazione è legata alla fusione dell’elio, che avviene nelle stelle più pesanti del Sole (giganti rosse). Questi processi di fusione nucleare fondono due nuclei leggeri, creando un nuovo nucleo più pesante e liberando l’energia in surplus. In questo modo possono essere creati nuclei pesanti fino a quelli di nichel e ferro, che sono formati da circa 60 nucleoni. L’esistenza di nuclei con massa ancora maggiore è possibile invece grazie a fenomeni diversi, come ad esempio nelle esplosioni delle supernovae, durante le quali si formano molti nuclei di grande massa tra cui l’uranio e il torio. In questi processi i nuclei esposti a un grande flusso di neutroni, tendono a catturarli e a formare nuovi nuclei molto ricchi di neutroni, che sono però instabili, decadono e si trasformano rapidamente. I nuclei radioattivi di tipo diverso coinvolti nei processi stellari sono del resto migliaia.
L’esplosione di una supernova però può anche portare alla formazione di un nuovo stato della materia, creando una stella composta in gran parte solo da neutroni. Le stelle di neutroni concentrano una massa equivalente a quella del nostro Sole, che ha un raggio di 700.000 chilometri, in una sfera del raggio di una decina di chilometri. La loro struttura è determinata dall’enorme pressione gravitazionale, e dalla resistenza offerta dalla materia nucleare. Riprodurre in laboratorio le caratteristiche della materia nucleare per lo studio delle stelle di neutroni è oggi una delle frontiere della ricerca in fisica nucleare.
Molti nuclei che invece hanno avuto un ruolo importante nella formazione degli elementi nei processi stellari sono instabili, decadono velocemente e non sono naturalmente presenti sulla Terra.

h.
Un elemento del rivelatore Agata, che è attualmente in fase di realizzazione da parte di varie istituzioni europee tra cui l’Infn. La struttura piramidale rappresenta elementi di cristalli rivelatori per raggi gamma, che, assorbiti dai cristalli, producono un segnale proporzionale alla loro energia.

Produrli in laboratorio è un obiettivo centrale della ricerca attuale. Ma arrivare ai limiti della stabilità nucleare è un compito molto ambizioso, che richiede sviluppi tecnologici di punta per creare fasci accelerati di ioni radioattivi e rivelatori di alte prestazioni. Per studiare questi fenomeni riveste un ruolo molto importante la rivelazione della radiazione gamma, ovvero dei fotoni ad alta energia emessi dai decadimenti nucleari, e una collaborazione europea sta realizzando un nuovo rivelatore di grande efficienza (Agata).
In effetti gli esperimenti con fasci radioattivi forniscono rigorosi controlli delle nostre aspettative teoriche sul comportamento dei nuclei in condizioni estreme, peraltro molto difficili da prevedere esattamente. Il nucleo, che è un sistema complesso formato da molte particelle, muta sensibilmente le sue proprietà quando si altera il rapporto tra protoni e neutroni rispetto ai nuclei stabili.
Come è avvenuto in passato, le ricerche di fisica nucleare hanno un grande potenziale di ricadute applicative in altri settori: come, per citarne solo uno, lo sviluppo di radioisotopi per la medicina. L’avventura intrapresa per comprendere la varietà della nostra natura è tuttora in corso e ci entusiasmerà anche negli anni a venire!

[as] approfondimento
La Qcd


Il protone e il neutrone sono composti di 3 quark di due soli tipi (detti sapori), u (up) e d (down), i quali possiedono, rispettivamente, carica elettrica +2/3 e -1/3. La carica elettrica +1 del protone si ottiene, quindi, combinando due quark u e un quark d (+2/3 +2/3 -1/3 = +1). Il neutrone, invece, è privo di carica elettrica e si ottiene combinando due quark d e uno u (-1/3 -1/3 +2/3 = 0). I tre colori dei quark inoltre sono combinati in modo che la particella sia “bianca” ovvero una miscela di rosso, verde e blu.


I protoni e i neutroni, al pari delle altre particelle che sperimentano l’interazione forte – gli adroni – non sono particelle elementari ma sono costituiti da ingredienti più fondamentali: i quark.
I quark hanno caratteristiche intrinseche molto diverse da quelle di altre particelle elementari, quali l’elettrone e il neutrino. La prima caratteristica rilevante è che essi hanno carica elettrica frazionaria rispetto a quella dell’elettrone e ciò si riflette nel modo in cui essi si combinano a formare gli adroni.
Inoltre, i quark possiedono un’altra proprietà, detta colore. Il termine non ha alcuna attinenza con la luce visibile ed è soltanto una metafora per il fatto che tale proprietà sussiste in 3 varietà, dette rosso, verde e blu. Gli antiquark portano gli anticolori corrispondenti. La ricetta per formare un adrone è semplice da enunciare: i quark vanno combinati in modo che il colore complessivo sia nullo.
Questo significa che i quark non possono mai essere prodotti come particelle libere isolate, ma si trovano permanentemente confinati all’interno di particelle “bianche”. Alla radice di questo bizzarro comportamento c’è la natura particolare dell’interazione tra i quark. Questa è di un tipo completamente nuovo e mediata da un nuovo tipo di particelle, i gluoni, i quali risentono dei colori dei quark. Il colore svolge in questo modello il ruolo svolto dalla carica elettrica nell’elettromagnetismo, e per questo ci riferiamo a questa nuova interazione con il nome di forza di colore e alla teoria che la descrive con il nome di cromodinamica quantistica (dall’inglese quantum chromodynamic, Qcd). La forza di colore tra due quark non diminuisce con la distanza che li separa, il che è all’origine del loro confinamento all’interno degli adroni. L’altra faccia di questa proprietà è rappresentata dalla cosiddetta libertà asintotica, vale a dire il fatto che ad altissima energia – il che, per il principio d’indeterminazione di Heisenberg, equivale alle piccolissime distanze – quark e gluoni interagiscono molto debolmente tra loro. In altre parole, la forza di colore agisce come una sorta di molla. Così come protoni e neutroni non sono fondamentali, non lo è nemmeno la loro reciproca interazione, vale a dire la forza nucleare. Questa altro non è che un residuo dell’interazione di colore tra i quark e i gluoni che li compongono, allo stesso modo in cui l’interazione tra atomi e molecole deriva dalle interazioni elettromagnetiche tra gli elettroni e protoni costituenti. [D. B.]

[as] approfondimento
Figli delle stelle


L’istogramma rappresenta le abbondanze dei vari elementi presenti nel sistema solare, ordinati per numero atomico crescente sull’asse orizzontale. Sull’asse verticale è indicata l’abbondanza relativa di ciascun elemento, scegliendo il silicio come elemento di paragone ed assegnandogli convenzionalmente un’abbondanza di un milione di atomi. Per ogni milione di atomi di silicio vi sono, ad esempio, circa 30 miliardi di atomi di idrogeno e meno di un atomo di berillio. In percentuale, l’idrogeno rappresenta il 75%, l’elio il 23% e tutti gli altri elementi contribuiscono con il residuo 2%. Alcuni elementi hanno abbondanze così basse da non essere rappresentabili con la scala scelta. In colore azzurro sono indicati gli elementi che sono indispensabili alla vita, mentre le barre orizzontali sotto l’istogramma indicano i luoghi dove si sono formati i vari elementi, dal Big Bang primordiale alle giganti rosse o alle supernovae. Gli atomi di idrogeno di cui siamo costituiti hanno quindi l’età dell’universo. Gli elementi più pesanti, per quanto più recenti, sono giunti “da lontano”, da stelle ormai scomparse che, esplodendo, hanno disseminato nello spazio i vari elementi da essi generati. Figli delle stelle? Sì, e di molte stelle. [C. S.]

Biografia
Angela Bracco, professore all’Università degli Studi di Milano, si occupa di fisica nucleare dal 1980 e ha condotto esperimenti per lo studio della struttura nucleare con spettroscopia gamma. Partecipa all’esperimento Agata ed è attualmente presidente della commissione scientifica nazionale di fisica nucleare dell’Infn.


Link
http://www.nupecc.org
http://agata.pd.infn.it

 

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